E’ uscito il 7 Giugno 2024 il Nuovo disco di Piero Pelù, “Deserti” Dodici tracce in totale che raccontano il DNA dalle molteplici sfaccettature delle tante anime dal rocker fiorentino e un feat Con i Calibro 35.
La fotografia della copertina del disco è una pozzanghera, non è un cielo e se ci si fa caso ci sono tanti punti che lo dimostrano. Delle volte, si può vedere il cielo guardando in terra e viceversa, si può guardare la terra guardando il cielo. Questo gioco di riflessi è molto importante per questo album perché a mio avviso Pelù si è riflesso in se stesso proiettandosi nella scrittura di questo disco e lo si scopre ascoltando i brani.
Il lavoro da studio è anche quello che segna il ritorno in scena di Pelù dopo un anno di stop forzato, a causa dei problemi legati al forte shock acustico subito in studio di registrazione e al successivo rinvio del tour.
Questo nuovo album, afferma lo stesso Pelù entra di prepotenza a far parte di una trilogia che ancora non si era ben definita ma che è cominciata con “Pugili Fragili”.
Dall’uscita di “Pugili Fragili” nel 2020 è successo tutto quello che poteva succedere per scaraventarci nel disagio da qui il nome di “Trilogia del Disagio”.
“Deserti” è anche la sintesi del Pelù pensiero sul sociale e la socializzazione, degli ultimi quattro anni che lui definisce un “poker di legnate micidiali tra pandemia e guerre violentissime alle porte dell’Europa”, il mondo che va a rotoli e una politica incapace di porre un freno al peggio.
E’ un album complesso fatto di punk ma Musorgskij e musica etnica, suoi riferimenti da sempre. Ci sono ovviamente i suoni dei Litfiba e montagne di chitarre rock suonate da Giacomo Castellano, uno dei migliori chitarristi rock mai esistiti, oltre a Ghigo, naturalmente, aggiungo.
E’ anche un album alternativo. Magari non underground, ma in controtendenza, questo sì, richiede cura, attenzione anche solo nell’ascolto. In questo mondo in cui tante cose mi sembrano di plastica, usa & getta. Alla fine, come da titolo, è un lavoro contro la desertificazione: del pianeta, della periferia, dei sentimenti.
M ora andiamo a scoprire insieme le due nuove canzoni pubblicate da una delle leggende del rock made in Italy.
Non a caso la prima canzone dell’album si chiama “Porte”, perché attraverso questa porta si entra dentro la dimensione dell’album. Quella del deserto è una constatazione ma anche una suggestione emotiva.
I racconti di “Novichok’, “Tutto e subito”, “Baraonde” tutti gli altri titoli del nuovo album, sono anche il frutto di un anno passato a confrontarsi con i problemi di acufeni.
Trovarsi con le orecchie devastate in studio di registrazione, dopo migliaia di concerti fatti alla sua maniera, deve esser stato surreale. Racconta che ha ancora oggi un boato fisso nelle orecchie, che però è riuscito tecnicamente a superare con una catena tecnologica di macchine che gli consente di suonare e cantare.
Afferma ironicamente Pelù che sul Palco ci sta il rock ma nelle orecchie sente la musica come se suonasse l’orchestra Casadei a causa le duo problema di udito.
“Deserti”, suona come un terremoto rock “adolescenziale” (l’adolescenza è uno dei temi affrontati dal musicista fiorentino) per l’incontenibile esuberanza.
Già con il primo singolo “Maledetto cuore”, trova l’apprezzamento della sua tribù “litfibiana” che in passato lo ha sempre massacrato.
Come non ricordare il fenomeno Litfiba esploso in Francia e “Desaparecido” prodotto dalla Sony francese quando in Italia nessuno li calcolava?
Il loro nome è un acronimo telex che unisce: LIT (L’Italia) FI (Firenze) BA (Via de’Bardi la fumosa e umida cantina adibita a sala prove).
Firenze era la casa della musica alternativa italiana, ma era una scena marginale rispetto al mercato. Per pubblicare “Desaparecido”, il primo album dei Litfiba, tenevamo loro stessi in piedi la I.R.A., una piccola etichetta indipendente che gli permetteva di uscir. In Francia, intanto, l’album fu pubblicato dalla Sony, una major, con ben altri risultati. Perché lì la cultura underground era capita, mica come qui, dove la ignoravano tutti.
” Il mio nome è mai più”, in Deserti torna 25 anni dopo in versione unplugged (Ricordiamo che coi soldi raccolti hanno inaugurato tre ospedali e di fronte a tutto questo le critiche diventano ridicole a mio avviso).
Mi sembrava giusto riproporla in questo disco in una versione rinnovata a 25 anni di distanza e con qualche minima variazione di testo. “C’era una volta un aeroplano, un militare italiano” e non più americano. È un omaggio al fratello di Lorenzo, Umberto Cherubini, che è scomparso in un incidente aereo.
I fans sanno benissimo che foglio di carta, matita e gomma per cancellare sono ancora in uso a Pelù, è l’unico rimasto a non usare i gobbi sul palco. Va a memoria, al massimo ha qualche appunto di carta sparpagliato in punti strategici, dico questo perché lo ho visto in un suo concerto in cui ho la fortuna di andare dietro le quinte del concerto.
Con il brano “Picasso” si riferisce al rapporto con la mia famiglia quando ha iniziato a suonare, per genitori di estrazione borghese come i suoi il sogno era avere due figli maschi laureati, sposati e con figli per continuare il “quieto vivere”, invece è noto a tutti noi che è andato al di fuori degli schemi che immaginavano. Qui racconta del Piero bambino, adolescente che confida alla famiglia di voler fare musica, il rock’n’roll, e davanti si trova un muro, una “guerra mondiale tra le mura domestiche”.
In effetti nel disco è un tema che ritorna spesso. In “Picasso” dice di essere “nato storto come un quadro di Picasso” e che le migliori cose “vengono dal basso”.
Può essere che abbiano ritrovato quelle sonorità, quelle atmosfere e quei temi di Pelù” In “Maledetto cuore” c’è una frase importantissima: “Io ho bisogno di te, di quello che non so capire”,è una rock ballad che suona come un richiamo all’umana fragilità e alla costante ricerca di significato. In Questo brano Pelù esplora le intricate vie della comunicazione umana, affrontando il tema della difficoltà di esprimere se stessi nei rapporti interpersonali, soprattutto in quelli amorosi. Tuttavia, l’ambito di questa struggente ballad si estende ben oltre i confini dell’amore romantico, penetrando nel tessuto stesso delle relazioni interumane. Si cela la consapevolezza di essere travolti da un caos interiore che mina le fondamenta stesse della nostra esistenza. Nell’arduo tentativo di comunicare la propria realtà, ci si scontra con muri invisibili, costruiti da paure e incertezze. Eppure, nonostante la tempesta che infuria dentro e fuori ogni essere umano, persiste un irrefrenabile desiderio di connessione, di trovare un’anima affine.
“Maledetto cuore” singolo uscito prima dell’album, è un viaggio tra le dune dei deserti alla ricerca degli altri di cui abbiamo bisogno per aiutarci a capire noi stessi e il caos dentro e fuori di noi”. “Lezioni di resistenza” dal caos del mondo dove quello che la storia ci ha consegnato come il male assoluto si sta pericolosamente riproponendo
In “Baraonde” e con “Scacciamali”, una sorta di rito propiziatorio che mira ad eliminare dal mondo i malanni, l’odio e le sofferenze; chiude il long play la mistica titletrack, impreziosita da inserti elettronici e sperimentali.
Affronta i deserti creati dai social, come in “Tutto e subito”, brano scritto insieme ai Fast Animals and Slow Kids, straordinari anche loro. Il brano è sulla follia delle Challenge sui social, sull’assurdo desiderio di avere tutto e subito.
C’è poi “Novichok”, che significa “nuovo arrivato” in russo brano che musicalmente è il più legato alle radici litfibiane nel quale il velenoutilizzato con sprezzante crudeltà da Vladimir Putin per eliminare implacabilmente i suoi oppositori, indica una classe di potenti neurotossine sviluppate in Unione Sovietica e in Russia nei decenni scorsi, una metafora per il veleno che viene propinato ai cittadini attraverso cibi contaminati e propaganda, il simbolo di una minaccia più ampia che si cela nell’ombra: quello della propaganda, basata su notizie false, che contamina la vita dei cittadini, di cui probabilmente Putin si è tenuto la ricetta dato che sarebbe stato usato nel caso dell’ex spia russa Sergei Skripal e potrebbe aver ucciso Alexei Navalny.
In “Novichok “si fa riferimento ad un’ora d’aria, anch’essa metaforica, un tempo “libero” che ci viene concesso, ma che ormai viene usato solo per mettersi in mostra, piuttosto che per vivere davvero. “Pensiamo più all’avere che all’essere”, e questa povertà di spirito si traduce in sofferenza, intolleranza. “L’ignoranza è il pane degli squali”. Brano caratterizzato da un bel riff potente di chitarra e un tappeto di tastiere molto anni 80, che in versione live dà il suo massimo, inducendo il pubblico a “pogare” (ballare).
Nel suono di “Novichok” ci sono i ruggiti rock che hanno caratterizzato gli ultimi lavori dei Litfiba, tornano i temi sociali e politici che hanno accompagnato il Diablo a lungo nella sua scrittura. Ma soprattutto c’è stato un ritorno fisico, nel luogo dove tutto è iniziato, la Cantina de’ Bardi a Firenze, il posto “litfibiano” per eccellenza, dove Piero ha tenuto uno speakeasy, serata di conversazione ispirata alle riunioni clandestine dell’epoca del proibizionismo. Un modo, sempre provocatorio, di tornare a stretto contatto con la sua gente. Le prove generali sono durate a lungo, Piero Pelù ora è tornato in scena!
Come da sempre, Piero Pelù si sa tocca temi d’attualità, importanti temi d’attualità, con la sua musica e con grande coraggio, mostrando come sempre una grande sensibilità.
In “Canto” mi sembra una frecciatina verso i fan più accaniti dei Litfiba che ancora pensano che ha fatto male a separarti dalla band.
Mentre “Baby bang” è scritta e suonata con i Calibro 35. Racconta del disagio giovanile, del deserto a cui stiamo condannando i nostri ragazzi, ma hanno evitato di usare il termine “Baby gang” optando per “Baby bang”, suonava bene, ma chissà se nel farlo si sono dimenticati che era il nome dato alle frangette di Louise Brooks e Betty Page: perfetto, “make love non war”.
In queste canzoni, quando lasciando intendere, segna una rinascita dopo tempi difficili “per lui e il mondo”, porta avanti una sorta di contro-narrazione.
In “Elefante”, quest’ultima più crossover nelle melodie, altra riflessiva ballad ben strutturata e caratterizzata da un testo semplice ma incisivo al punto giusto.
A chiudere il disco la mistica “Deserti”, brano strumentale davvero notevole, una sorta di mantra sciamanico.
E dopo la prima parte in italiano se ne inserisce un’altra in una lingua piuttosto inusuale.
Finisce con una voce misteriosa, che è la lingua del popolo delle Isole Mentawai, in Indonesia. Ci è andato a girare un documentario con Raz Degan ed è rimasto in contatto con quella tribù. La guida, un ragazzo del posto, ha registrato quelle voci dopo che gli ha spiegato che il disco prende spunto dalla desertificazione. Sono stati in zone non ancora intaccate, ma durante tutto il percorso in canoa lungo il fiume, per tantissime ore, sentivano il rumore delle motoseghe. Ha visto con i suoi occhi le conseguenze del disboscamento delle foreste equatoriali per produrre il famigerato olio di palma.
Un album squisitamente rock, in pieno stile Pelù.
Per il DESERTI TOUR 2024, Piero Pelù sarà accompagnato da una band di super musicisti composta da Giacomo Castellano “Castillo” alla chitarra, Luca Martelli “Mitraglia” alla batteria e Max Gelsi “Sigel” al basso.
Piero è tornato, con la sua musica e le sue canzoni!
Ma visto che anche da situazioni di malessere si può trarre giovamento, ecco che per la prima volta nella sua carriera Piero Pelù ha potuto fermarsi per mesi e mesi per dedicarsi unicamente alla stesura del suo nuovo progetto discografico.
Si sente nelle sue parole l’importanza di dare a tutto un’interpretazione, dai fatti di cronaca estera che ci tempestano, a qualunque prodotto culturale.
Nell’ora d’aria dovremmo poter vedere quel “cielo che non c’è in tv”, dovremmo uscire dalla luce precaria degli schermi per riscoprirci, riscoprire i nostri corpi imperfetti, per provare a ritrovare una libertà che non sia solo momentanea, ma che si possa costruire col tempo.
Il ritorno di Piero Pelù è un continuo ritorno ciclico ad altri momenti della sua vita. Rimarchevole in questo senso, e pure originale, lo sticker con scritto NO-IA che l’artista fiorentino ha voluto apporre sulla confezione di Deserti per protestare contro l’intelligenza artificiale che rischia di fare il vuoto dentro e intorno a noi.
Deserti è un album che sfida ed invita all’ascolto attivo, offrendo una narrazione egregiamente supportata dall’aspetto musicale. Piero Pelù si conferma non solo come il “ragazzaccio” del rock italiano, ma anche come un artista maturo capace di fare la differenza: se questo genere ha bisogno di un punto di riferimento può assolutamente contare su di lui, senza alcun dubbio.
Insomma tranne in alcuni passaggi dove forse si sarebbe potuto ricercare una maggior cura dei testi, Pelù ha tirato fuori un progetto davvero ottimo sotto il punto di vista degli arrangiamenti.
Da parte mia è tutto.
Alla Prossima da SonoSoloParole.
Ciao sonosoloparole e ciao a tutti. Che meraviglia leggere un altro dei tuoi articoli. Veramente interessante e fitto di dettagli. Grazie, questo post mi ha fatto tornare alla mente i concerti visti e soprattutto la fine degli anni ’90, quando, all’inizio della mia carriera professionale, ebbi la fortuna di stare sul palco e dietro le quinte con Piero Pelù. Un caro saluto a te e a tutti i lettori. Buona estate dalla Calabria dal quartetto Vianello….
Ciao Liga.Grazie a te che ti sei preso la briga di leggerlo.
E’ un mio difetto quello di inserire dettagli e foto che rievocano meglio dello scritto(lo so che mi dilungo troppo) e magari cosi invogliare all’ascolto delle canzoni e a confrontar i pareri e perchè no sbloccare un ricordo.
Pelù ci da un bell’insegnamento con questo album con i testi delle sue canzoni.
Buona vacanza e un caro saluto a te e a Pam e ai ragazzi nella bellissima Calabria.
E ancora Grazie dell’opportunità che mi avete dato.