Oggi non potevo non dedicare le mie modeste righe ad un evento che ci ha stravolto nella lunga e calda estate del 1992 piena di stragi innocenti.
Palermo, via D’Amelio, 19 luglio 1992: un’autobomba uccide il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina.
Un’altra strage, a 57 giorni da quella di Capaci costata la vita a Giovanni Falcone, che sconvolge il Paese e scuote le coscienze, rafforzando la determinazione della società italiana nel combattere la mafia.
Quella di Paolo Borsellino è la seconda morte annunciata. Due informative del Ros dei Carabinieri davano per imminente l’attentato. Una terza segnalava che “negli ambienti carcerari si dà il dottor Borsellino per morto”. Borsellino lo sapeva e ne aveva parlato con gli uomini della sua scorta.
Per due volte era stata proprio la scorta a chiedere alla prefettura di bonificare i luoghi abitualmente frequentati dal giudice, in particolare la rimozione delle auto parcheggiate in via D’Amelio, sotto casa della madre, dove il giudice andava una volta alla settimana, ma nessuno fece nulla.
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino con la sua scorta va a trovare la madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’edificio dell’abitazione, con circa 100 kg di tritolo a bordo, esplode uccidendo oltre al magistrato gli uomini della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traia. L’unico sopravvissuto è Antonino Vullo.
Vullo è anche il primo testimone a raccontare la vicenda: “Borsellino e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, mentre io ero rimasto alla guida. Stavo facendo manovra per parcheggiare la vettura che si trovava alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha scaraventato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”.
Borsellino lo sapeva. Dalla morte di Falcone era cambiato tutto. Ripeteva spesso la frase: “Ora tocca a me”, non appena saputo del carico di tritolo arrivato a Palermo. Non gli restava che velocizzare le indagini sulla strage di Capaci e così fece.
Mi ucciderà materialmente la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere. La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno diceva Borsellino.
In un’agenda rossa annotava minuziosamente tutto. Un “diario prezioso” sparito dalla sua valigetta pochi minuti dopo la strage. La sua sparizione è un aspetto simbolico di una “verità nascosta o meglio non completamente disvelata”.
Lo scrivono i giudici di Caltanissetta nella sentenza sul depistaggio con la quale il 12 luglio 2022 hanno prescritto due investigatori della polizia, Mario Bo e Fabrizio Mattei, accusati di favoreggiamento, e assolto un terzo poliziotto, Michele Ribaudo.
Secondo i pm, che hanno impugnato la sentenza, gli imputati avrebbero indottrinato dei falsi pentiti che sarebbero stati costretti a mentire e ad accusare della strage del 19 luglio 1992, persone poi rivelatesi innocenti.
Tutti e tre facevano parte della squadra che indagava sulle stragi Falcone e Borsellino. Quella guidata da Arnaldo La Barbera che aveva anche creato il falso pentito Vincenzo Scarantino e lo avrebbe indotto a lanciare accuse inventate di sana pianta. Sette persone furono condannate all’ergastolo e poi scagionate e infine scarcerate quando il vero pentito Gaspare Spatuzza ricostruì un diverso scenario della strage.
Giovanni Falcone fu oltraggiato da vivo. Paolo Borsellino da morto, deviando da subito le indagini verso false piste, falsi pentiti, false prove. L’operazione inizia, mentre stanno ancora bruciando le automobili in via D’Amelio, proprio con la sparizione di quell’agenda rossa, volatilizzata per sempre nei minuti in cui gli uomini di La Barbera, superpoliziotto con doppio incarico nei Servizi, perlustrano per primi la scena dell’esplosione.
“Una sparizione non riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra”, scrivono i giudici del tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo per il depistaggio delle indagini a carico dei tre poliziotti. Ma opera “di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario e opportuno sottrarre”.
“Il più grande depistaggio della storia d’Italia” posto in essere anche da “amnesie generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni e dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche”.
Il 24 luglio 1992, nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, si svolgono i funerali in forma privata di Paolo Borsellino. I familiari rifiutano il rito di Stato, alla cerimonia funebre non è gradita la presenza dei politici e la vedova del magistrato accusa l’esecutivo di non aver saputo proteggere il marito.
L’omaggio arriva dalla gente comune, sono circa 10 mila le persone che si stringono attorno al feretro del magistrato palermitano.
L’orazione funebre la pronuncia Antonino Caponnetto, il vecchio giudice a capo dell’ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi».
Già nella giornata precedente, durante le esequie dei cinque agenti di scorta nella Cattedrale di Palermo, la polizia è costretta a intervenire all’arrivo dei rappresentanti dello stato (compreso il neo Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro). La folla è inferocita e inizia a gridare “Fuori la mafia dallo stato”.
Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli sono i cinque agenti morti nella strage di via d’Amelio altri 5 angeli. Una volta Agnese Borsellino raccontò che erano “parte della famiglia”, persone con cui condividere “ansie e progetti”.
Borsellino diceva: “quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro”, per evitare che ciò accadesse, spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette, quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi.
Gli agenti della scorta di Paolo Borsellino sono stati tutti insigniti della Medaglia d’Oro al Valor Civile per aver assolto il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere, pur consapevoli dei gravi rischi cui si esponevano a causa della recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell’ordine giudiziario e delle Forze di Polizia.
Borsellino riposa nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.
Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli scusateci, se non siamo stati in grado di proteggervi né come Stato né come gente comune, spero che la gente apra gli occhi e inizi a dire che la Mafia fa schifo! E che si può e si deve debellare questo marciume dalla nostra società, un cancro la cui unica prevenzione sono la “verità” ed il “coraggio”.
“Parlate di mafia, alla radio, in televisione, nei giornali, però parlatene” diceva Borsellino e noi ne parleremo sempre, perché “Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi”.
Alla prossima da SonoSoloParole.
Per non dimenticare, non si può dimenticare fatti di mafia come quello di Capaci e Via D’Amelio e tanti altri. Proprio ieri sera guardando per l’ennesima volta il film (solo la scena della strage) mi sono chiesta, ma tutte quelle macchine parcheggiate che ci fanno li? Se passa un politico bloccano tutto mentre li non c’era nemmeno un parcheggio libero. Emanuela Loi era alla sua prima scorta e volle essere presente anche se sapeva il rischio. Borsellino, angeli della scorta, anche io come cittadina italiana chiedo scusa a tutti voi per uno stato che non ha saputo o VOLUTO proteggervi.
Ciao Chiaro_Di_Luna, ti quoto!!!
Grazie liga. 🙂
Ma grazie a te e soprattutto a SSP. Io comunque mi rileggo “Cose di cosa nostra” di Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani.
ciauuuuu
Grazie liga, ssp nello scrivere articoli è bravissima. Io personalmente leggo tutto e poi commento cose che so come di questa e l’altra maledetta strage. Buona lettura, è un libro molto interessante. Ciauuuu
Grazie Chiaro_di_Luna che segui ciò che posto. Io cerco solo di mettere passione in ciò che scrivo e magari trasmetterne un pò a chi legge. Spero che questo articolo lo leggano in tanti. non per me.perchè, se riesco a scuotere le coscienze anche di poche persone sarà stato un successo contro questo schifo che è la mafia . E un a Grazie a Radio Febbre che mi ha dato l’opportunità di poter usare questo spazio anche per cercare di tenere alta l’attenzione su uomini e donne che hanno perso la loro vita per una lotta che ora è di tutti noi.
Cara ssp sai che seguo sempre i tuoi articoli proprio perchè li ritengo molto interessanti e scritti molto bene. Grazie a te e continua così. :*