Il 20 Ottobre 2024 al Forum Di Assago Milano è andato in scena il concerto di Nick Cave and the Bad Seeds per l’unica data italiana del tour WILD GOD, molto atteso e tutto esaurito da tempo ed oggi voglio fare un reportage del concerto a cui io personalmente ho assistito entusiasta.
Opening act prestigiosissimo affidato nelle mani della band irlandese i Murder Capital, band rock/post punk irlandese formatosi a Dublino nel 2018 con due album alle spalle ma pronti a fare il salto verso un pubblico più ampio, con un rock secco, cupo e incalzante e ricercato allo stesso tempo, e sono pronti a diventare, a quanto pare, i prossimi Fontaines DC salgono palco alle 19.45 scelti personalmente da Nick Cave,che si fanno ben apprezzare dal pubblico con un set di 45 minuti del loro sound post punk che ha ridato lustro alle chitarre cupe e dark di matrice new wave anni 80.
Tre quarti d’ora per presentare le canzoni dei loro primi due album, da “The Stars Will Leave Their Stage”, alla splendida “Ethel”, da “Slowdance I e II, Love, Love, Love”, fino all’ultima uscita, “Can’t Pretend to Know”, il loro singolo 2024 ma dal riscontro dal parterre confermo la sensazione che li rivedremo ancora.
Sono le 21 l’abbraccio degli undicimila del Forum di Assago per Nick Cave inizia ad andare in scena!
Nick Cave in abito grigio, camicia bianca e cravatta, attorniato dalla sua band che oltre al braccio destro Warren Ellis, al chitarrista George Vjestica, al percussionista Jim Sclavunos e alla tastierista Carly Paradis, comprende Colin Greenwood dei Radiohead al basso è accompagnato da quattro coristi gospel, in tuniche bianche (le coriste) che sovrastano i musicisti su una pedana, dietro a tutti, sono tre donne e un uomo (in tunica nera), Miça Townsend, Wendi Rose, Janet Ramus e T Jae Cole.
Il 67enne australiano Cave sceglie la via del minimalismo nella scenografia, con il ledwall alle spalle del set a riempirsi delle parole prese dalle canzoni a lato del palco che trasmettono le riprese in bianco e nero e il piano al centro della scena.
L’intro di “Frogs” apre il concerto con l’ingresso della band al completo a mio avviso non poteva esserci scelta migliore di questa canzone, cupa e suggestiva ma in fondo profondamente gioiosa, il ritmo scandito da chitarre distorte e una batteria quasi ossessiva. Siamo solo all’inizio ma la voce baritonale di questo bluesman moderno riempie già tutto il Forum, ad accompagnarla nell’esibizione il corpo giovanile e dal sorriso di Nick Cave che guarda il suo amato pubblico accorso per vederlo.
Nell’apertura di “Frogs”, Cave è seduto al piano ma si alza quasi subito per iniziare il rituale con il pubblico, correndo sulla passerella che dal palco lo mette a contatto con i fan, senza barriere, ci cerca, ci tocca, ci guarda in faccia con un trasferimento d’energia reciproco…
Al secondo brano Cave è già in mezzo a noi del pubblico, il cui contatto cerca poi per tutto il concerto, camminando avanti e indietro sulla passerella sopra le transenne, facendo segno di avvicinarsi, come se ci si potessimo avvicinare più di così.
Nick Cave non ha certo bisogno di presentazioni nel mondo delle sette note.
Ma non è tutto, perché le due ore e mezza di concerto prevedono anche il pentimento che traspare da “O Children”, la canzone sull’incapacità degli adulti di crescere i figli, oppure il desiderio crudele della magnifica e primitiva “From Here to Eternity” ma quando arriva la parte implacabile e feroce di “Jubilee Street”, si capisce quanto il pubblico ama e aspetta quest’altro aspetto di Cave, oltre a quello del santo peccatore che inarca la schiena allentando la cravatta per poi gettarla definitivamente via.
Spesso Cave si siede al pianoforte per poi rialzarsi dopo una strofa e un ritornello, come se non riuscisse a contenere l’impulso di raggiungere fisicamente il pubblico, vederne le facce, trarre energia dal loro godimento. La band ha un suono corposo e decisamente meno selvaggio dei vecchi Bad Seeds.
C’è spazio sia per la dolcezza delle semi-acustiche “Long Dark Night” e “Cinnamon Horses”, sia per l’apocalittica “Tupelo”.
Non c’è canzone sulla gioia senza una sul peccato, c’è un dualismo tra pezzi che sembrano riti spirituali e altri che paiono omicidi efferati, ma alla fine tutti lanciano baci al pubblico, persino Ellis. È una performance molto fisica e quando Cave dà le spalle al pubblico si vedono le chiazze di sudore che pian piano s’espandono sulla giacca e come segno del destino, il sudore gli ha disegnato due piccole ali d’angelo sulla giacca.
Può essere la prima volta che lo vedi, o la ventesima, rimani travolto dall’intensità di una performance che è insieme l’essenza della musica live e unica nel suo genere che solo una band sul palco e un frontman come Nick Cave che passa dal rock rumoristico al gospel con classe e potenza può fare.
Il finale riporta verso la perfezione “Red right hand” parte lenta, quasi soul, poi esplode segue “Mercy seat”, travolgente come sempre, e da “White elephant” che parte rumoristica per aprirsi in una ballata gospel con coristi che scendono in prima fila.
Poi “Papa won’t leave you Henry”, e la benedizione finale con “The weeping song” con i giochi da navigato direttore d’orchestra con i battiti delle mani pretesi in risposta dal pubblico durante la canzone.
È evidente quanto il contatto col pubblico sia ricercato da Nick Cave, un contatto non solo fisico ma anche emotivo, non rinuncia però ogni tanto a stemperare i toni, giocando col pubblico e guidando cori. È così che il finale della splendida “Conversion”, eseguita in una versione incandescente, diventa un gioco di call and response con pubblico (“stop! you’re beautiful”) ripetuto poi in più occasioni nel corso della serata.
Qualcuno dal parterre gli lancia un fazzolettino per tergersi il sudore, il rocker australiano se la ride, si asciuga e lo restituisce come una reliquia al pubblico, con cui interagisce di continuo.
Nick Cave sul palco sembra essere vicino a ogni singola persona arrivata lì per lui, le braccia che dal basso si protendono verso di lui donandogli un’aura divina, che lo circondano e lo toccano, sono solo la rappresentazione fisica di un profondo legame spirituale.
Non ci sono barriere tra gli spettatori e il palco, che è comunque sopraelevato, il pubblico cerca allora Nick Cave con le mani rivolte verso l’alto e lui concede le sue di mani in un continuo scambio di energia da palmo a palmo. È un flusso continuo che a volte porta alcuni spettatori a toccargli le gambe, momento sottolineato in maniera ironica dall’indiscusso e indiscutibile mattatore della serata, il quale spiega al microfono di voler concedere “questo privilegio” per 20 secondi al massimo o 15, “in rappresentanza di tutti quanti voi” dice Cave perché poi deve continuare a muoversi sul palco per la sua performance. A un certo punto arriva un fazzoletto da parte del pubblico e Nick Cave lo usa per asciugarsi il sudore sulla fronte, “Così va meglio?”, chiede, come se dovesse ricevere l’approvazione della gente, poi rilancia il fazzoletto di sotto, trasformato istantaneamente in reliquia, stesso rito che compie con una t-shirt e che non ripete con chi voleva continuare con queste “benedizioni”, trasformando in reliquia qualsiasi oggetto da recapitare potenzialmente sul palco, dicendo proprio in inglese: “No, non voglio la tua fottuta t-shirt”, come a voler dire semplicemente “Va bene tutto, ma non esageriamo” o come a voler rendere ancor più unica e originale la magia del suo concerto, dove non si esce mai comunque dall’idea di un rito ormai dalla platea lo si vede emergere, evangelista rock in giacca e cravatta, da un mare di braccia alzate.
Magnifico al piano, ad esempio per il finale di “Bright Horses” o per la teatrale “I Need You” con un primissimo piano rilanciato dagli schermi a lato palco che sfuma nel nero sulle parole “just breathe”,
Nella musica e nei concerti di Nick Cave c’è tutto, c’è il racconto e l’immaginario spirituale dei testi, c’è un suono che passa dal minaccioso e disturbante al rassicurante, un repertorio di canzoni come pochi altri, la forma e la potenza di una performance sia teatrale che viscerale.
Rapiti, posseduti e infine liberati in una esplosione vibrante di gioia è una esperienza che sarà difficile dimenticare, quella vissuta all’Unipol Forum di Milano, per tutti coloro che hanno avuto la fortuna come me di assistere all’unica data italiana del Wild God tour di Nick Cave and the Bad Seeds, con inattesi spunti comici e una voce che non cede di un millimetro neppure dopo due ore e mezza di performance.
Ed è la sua musica a creare questo legame, anche grazie al prezioso contributo di una band ferocemente brava come solo i Bad Seeds possono essere, alla destra del palco, inamovibile, il fidato Warren Ellis, braccio destro musicale di Cave ma anche insuperabile spalla nel momento live.
Per la chiusura di concerto si torna al presente, con l’intensa “White Elephant”, un brano che parte nell’oscurità e si chiude con la luce in un’esplosione gospel. Il dubbio che gli “encore” possano esser andato via cosi resta solo un attimo, perché la band rientra e rilancia il bis con “Wow O Wow (How Wonderful She Is)” anticipata da una dedica meravigliosa di Cave a Anita Lane, già compagna di Cave nei Birthday Party e nei primi “Bad Seeds” amata musa scomparsa pochi anni fa, mantenuta anche in versione live la telefonata registrata di lei che scherza al telefono, mentre sugli schermi scorrono le immagini di lei, bellissima.
Con “Tupelo” si finisce nel bel mezzo di uno storm, dove le luci sono i lampi e la batteria il tuono, mentre Cave cerca di sovrastarli cantando per ricordare che lì è nato il re, Elvis Presley Elvis Aaron Presley, nato l’8 gennaio 1935 a TUPELO, Mississippi (brano che ricorda il temporale della notte nella quale nacque The King Elvis) mentre il coro segue ballo ipnotico.
“White Elephant” è degna di un finale col botto, con noi pubblico scatenato e il coro che lascia la sua postazione sopraelevata per scendere sul palco, il tempo di presentare tutti e salutare, e le luci si spengono, d’altronde sono le 23 e siamo già a due ore di concerto, chiudono in bellezza, con l’uscita dal palco della band, è la fine di un concerto entusiasmante, Cave saluta il pubblico e i musicisti della band nominandoli uno ad uno che lasciano il palco, ma invece di seguirli si siede al suo pianoforte per un ultimo regalo, una versione da solo di “Into my arms”, ascoltata in religioso silenzio dal pubblico che ci lascia con un dolcissimo sapore in bocca.
Alle 23.35 si esce, inconsapevoli del tempo trascorso ma coscienti di averlo vissuto al meglio con il songwriter Cave con un concerto epico, empatico e una band pazzesca che non si è risparmiata mai, Nick Cave è riuscito anche questa volta a trascinare il pubblico del Forum in un vortice di emozioni come pochi altri cantanti sono in grado di fare nelle due ore abbondanti di show.
Nick Cave, catalizzatore di energia e di attenzione, ma come dimenticare che sul palco c’è un altro gigante, e cioè Warren Ellis che, per tutto lo spettacolo, vive la musica, segue attento l’aura di Cave e ne cattura e amplifica ogni nota, i suoi pezzi al violino sono frutto di una vera possessione, come d’altronde la sua voce tirata in quel capolavoro che è “Bright Horses”
Merita un’ovazione anche Larry Mullins alla batteria, che sorregge tutto lo spettacolo con ritmi intensi e pieni, e con suoni ipnotici.
Ed è proprio il caso di dirlo, il concerto al Forum di Assago, con Nick Cave and The Bad Seeds, ha regalato momenti di intensa emozione, un mix di spiritualità, gioia, dramma, sacro e profano. La loro forza carismatica ha toccato corde profonde, accompagnata da sonorità suggestive e potenti e posso dire fiera “IO C’ERO”!
Stay tuned su Radio Febbre perché su Nick Cave a breve ci sarà un’altra novità, vi state chiedendo di cosa si tratta? Beh… lo scoprirete presto!
Da Parte mia è tutto.
Alla prossima da SonoSoloParole.