Oggi 25 Novembre ricorre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne.
La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, in cui la stessa ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne e ridurne il fenomeno.
Il 25 novembre è il primo dei “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” che si concluderà il 10 dicembre in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani così da sottolineare che la violenza di genere rappresenta una violazione dei diritti umani.
L’iniziativa fa parte della campagna ONU, nota come “Orange the world”, ed ha nell’arancione, colore che simboleggia un futuro luminoso e ottimista, libero da questo tipo di violenza, il filo conduttore che lega tutti gli eventi che ne fanno parte, per questo i sedici giorni di attivismo sono noti anche come “orange days”.
A questa data si lega la tragica morte delle 3 sorelle Mirabal Patria, Minerva e Maria Teresa, dette “las Mariposas” (le farfalle), trucidate nel 1960 nelle Repubblica Dominicana per ordine del dittatore Rafael Leònidas Truijllo.
La violenza di genere può assumere diverse forme, dalla discriminazione sul luogo di lavoro al gaslighting (manipolare di una persona con l’obiettivo di farla dubitare di se stessa e della sua stessa sanità mentale), dall’abuso emotivo alle percosse, dalla minaccia di stupro al femminicidio. Una serie di soprusi che devono essere ricondotti all’oppressione sistematica a cui è da secoli soggetta la figura femminile, una visione tanto radicata nel nostro inconscio da essere stata implicitamente interiorizzata da uomini e donne.
In una società patriarcale che dai tempi delle Stilnovo porta avanti l’ideale della donna angelicata, chi esula da questo standard di mitezza e tolleranza viene inquadrato come deviante (non dimentichiamo che ancora nel novecento l’isteria femminile era considerata un vero e proprio disturbo riconducibile all’insoddisfazione sessuale e che solo nel 1980 venne depennata dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).
In letteratura, la violenza perpetrata sulle donne è rimasta spesso nell’ombra, relegata a semplice espediente narrativo, nella mitologia greca Artemide è figlia di uno stupro commesso da Zeus e Cassandra viene presa con violenza nel tempio di Atena nel bel mezzo dell’assalto a Troia, ma il loro dramma interiore non viene mai indagato. Storicamente, lo stupro è considerato un gesto di sfregio nei confronti dello sconfitto, un’onta equivalente al saccheggio o alla razzia, in poche parole, la donna è vista alla stregua di una proprietà come tante altre, barbara usanza che si mantiene ancora nelle guerre odierne e in quelle recenti, come nella seconda guerra mondiale, in cui le donne conquistarono un ruolo più attivo, ma sempre clandestino e degradato, sempre in fuga dall’oggettivazione brutale dell’uomo.
La cultura dello stupro sussiste anche al giorno d’oggi, quando si sostiene, più o meno implicitamente, che una molestia sessuale possa essere stata incoraggiata da un abbigliamento considerato poco appropriato con un “Se l’è cercata”, questo il ritornello “stupido” dell’opinione pubblica.
Da alcuni anni a questa giornata si associa il colore rosso utilizzato dall’artista messicana Elina Chauvet nella sua istallazione “Scarpette rosse” apparsa per la prima volta davanti al consolato messicano di El Paso in Texas, centinaia di scarpe rosse abbandonate in una piazza per ricordare le centinaia di donne stuprate e uccise a Ciudad Juarez, e per Elina Chauvet il modo per ricordare la sorella, uccisa dal compagno a soli 22 anni. Da allora le scarpe rosse sono diventate il simbolo della lotta per i diritti delle donne e contro la violenza di genere e in molti paesi, come l’Italia, il colore esibito in questa giornata è il rosso e uno degli oggetti simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna (di solito allineate nelle piazze o in luoghi pubblici) a rappresentare le vittime di violenza e femminicidio.
La violenza contro le donne e le ragazze (VAWG Violence against women) è al giorno d’oggi una delle più diffuse, persistenti e devastanti violazioni dei diritti umani al mondo, questa rimane poi largamente impunita, a causa dell’omertà, la connivenza, lo stigma e la vergogna a cui in molte comunità viene associate.
Come definita dalla Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne emanata dall’Assemblea Generale ONU nel 1993, la violenza sulle donne è: “ogni atto di violenza basato sul genere che risulti, o potrebbe risultare in, sofferenza e danni fisici o psicologici per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o l’arbitraria deprivazione della libertà, che occorra in pubblico o nella vita privata”
Di norma, questo genere di violenza può presentarsi in forma fisica, sessuale e psicologica, comprendendo: Violenza intima del partner (maltrattamenti, abusi psicologici, stupro coniugale, femminicidio); Violenza sessuale e vessazione (stupro, atti sessuali forzati, attenzioni sessuali non richieste, abusi sessuali sui minori, matrimoni forzati, stalking, cyber-vessazioni); Traffico di esseri umani (schiavitù, sfruttamento sessuale); Mutilazioni genitali femminili.
Le conseguenze psicologiche, sessuali o sanitarie avverse di tali violenze segnano donne e ragazze in ogni fase della loro vita, per esempio, gli svantaggi educazionali della tenera età non rappresentano solo l’ostacolo primario al diritto all’educazione delle bambine, ma in futuro rappresenteranno i loro limiti nell’accedere ad un’educazione superiore e al mercato del lavoro. Inoltre, se è vero che la violenza di genere può colpire chiunque, indistintamente, alcune donne e ragazze sono particolarmente vulnerabili, come le ragazze più giovani o le donne più anziane, le donne che si identificano come omosessuali, bisessuali, transgender o intersex, le migranti e rifugiate, le donne indigene e di comunità svantaggiate, le donne con disabilità o come le donne che vivono nel pieno di crisi umanitarie.
La stragrande maggioranza dei preadolescenti e degli adolescenti in Italia, come in tutti i Paesi digitalizzati del mondo, vive nel web una condizione di esposizione personale e pubblica molto forte, non c’è passaggio della propria vita che non venga documentato o, meglio, non c’è momento della propria vita in cui non ci si preoccupi di testimoniare la propria esistenza attraverso un video o una foto da mandare in rete, il virtuale e il reale si confondono e il corpo sembra non avere peso.
La videocamera di uno smartphone da strumento tecnologico di grande utilità rischia così di trasformarsi in una minaccia, in uno strumento di controllo fortissimo all’interno di relazioni tossiche fra pari. “Se sei a casa, dimostramelo e accendi la telecamera”; “Fammi vedere come sei vestita”; “Voglio vedere con chi sei”. O ancora le geo localizzazioni, la pretesa di avere le password dei social della propria partner e tante altre forme di violenza, sono solo alcuni esempi di comuni pressioni quotidiane di fronte alle quali i nostri preadolescenti e adolescenti sono impreparati.
Serve pertanto un intervento formativo e di accompagnamento all’interno delle scuole che dia gli strumenti alle ragazze e ai ragazzi per gestire con consapevolezza i sentimenti e anche gli strumenti tecnologici a loro disposizione.
Serve cioè educazione all’affettività, un sapere multidisciplinare e interdisciplinare che comprende la pedagogia, l’educazione sessuale, la psicologia, l’educazione civica e l’educazione al web e ai dispositivi digitali. Un sapere che, naturalmente, prevede modalità d’intervento diverse in base alle fasce d’età e che coinvolge tutto il corpo insegnante e le famiglie per individuare e prevenire la violenza digitale e indirizzare le ragazze e i ragazzi verso figure e luoghi capaci di accogliere i loro disorientamenti e le loro preoccupazioni.
Donne, ragazze e bambine continuano ad essere, in molte aree del mondo, specialmente in situazioni di conflitto armato e di emergenze, vittime di discriminazioni, violenze, abusi e sfruttamento. La difficile condizione femminile ma anche, specularmente, il talento, il coraggio e il contributo che le donne possono dare alla costruzione di società più inclusive e resilienti è tema centrale in alcune delle crisi più gravi dell’attualità internazionale, dall’Afghanistan all’Etiopia, dall’Ucraina all’Iran.
Nel mondo, ogni 11 minuti una donna muore di violenza domestica. E in Italia il 31,6% delle donne ha subito violenza fisica o sessuale, ma se il fenomeno permea, ancora, la nostra società, l’aria sta cambiando, ed è sotto gli occhi di tutti. Il silenzio non è più accettabile, casi emblematici, su tutti il femminicidio dei Giulia Cecchettin, hanno scosso le coscienze. Così le donne denunciano di più (aumentato nel 2024 di oltre l’80% le richieste di aiuto al numero antiviolenza 1522).
Bisogna continuare a fare rumore, ma anche fare rete, per sviluppare una vera nuova coscienza collettiva sul tema. In ogni caso #noexuse, #NessunaScusa è lo slogan simbolo di questa Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Se i governi devono creare e applicare leggi severe contro la violenza di genere, e adottare Piani Nazionali d’Azione che garantiscano la protezione delle donne, anche le aziende e le istituzioni devono fare la loro parte. Implementando politiche di tolleranza zero, offrendo sostegno alle vittime. Promuovendo ambienti di lavoro sicuri e inclusivi. Ma anche i singoli individui possono cambiare le cose, denunciando ogni forma di abuso e violenza e sostenendo l’operato di enti ed associazioni.
Ma non lasciare ad un braccialetto elettronico la “vigilanza” del carnefice lasciato su un divano a far ciò che vuole , che spesso e volentieri non sono funzionanti, lo dimostrano i casi di femminicidio avvenuti a causa del malfunzionamento di questi dispositivi, che non solo ci costano soldi ma non servono a nulla, le vittime pur segnalando il loro malfunzionamento non vengono sostituiti o peggio si lascia la “faccenda” in mano al “destino” , se il carnefice vuole ammazzarci lo fa eccome…. e vi assicuro che ci riesce benissimo! Quindi perché non metterli in galera con una pena certa? Si lascia la vittima spesso sola o peggio deve abbandonare lei casa, famiglia e allontanarsi e si lascia il carnefice far i comodi suoi…. quasi come una punizione quasi a dare iul “carcere” alla vittima!
È passato un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin e altri nomi si sono aggiunti, e rimasti anonimi, di ragazze, adulte, anziane, persone trans uccise ad oggi sono 104 i femminicidi registrati nel 2024.
Scendiamo in piazza mentre giunge a conclusione il processo al suo assassino, intanto una ragazza di 13 anni viene uccisa dal “fidanzatino” di 15 anni, sappiamo bene che non sono le sentenze esemplari che cambieranno le cose, guardiamo con sospetto ai riti collettivi che assolvono la società dalla responsabilità di queste morti.
Sembra che si inizi da “bambini” a non saper accettare la fine di qualcosa sia esso un sentimento, o rapporto.
Per ogni femminicidio è un fallimento della nostra società, ricordiamocelo!
Non è facile tenere il conto dei femminicidi in Italia. Non esiste una banca dati istituzionale e pubblica in cui vengono registrati i femminicidi tenendo conto della definizione del termine e dunque dell’uccisione di donne con uno specifico movente e in un determinato contesto di violenza di genere. Il Ministero dell’Interno produce ogni settimana un report con gli omicidi volontari specificando il sesso delle vittime e la relazione con il presunto colpevole, ma non usa mai la parola femminicidio.
La violenza contro le donne è forse la violazione dei diritti umani più vergognosa. Essa non conosce confini, né geografia, cultura o ricchezza. Fintanto che continuerà, non potremo pretendere di aver compiuto dei reali progressi verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace.
Voglio concludere con la bellissima poesia, di Cristina Torre Cáceres, artista e attivista peruviana risalente al 2011, in cui la protagonista, che parla in prima persona, si rivolge alla mamma e le chiede di “distruggere tutto” nel caso in cui dovesse essere vittima di femminicidio. La poetessa ha scritto questi versi dopo la morte di Mara Castilla, uccisa da un autista. I versi sono poi diventati il simbolo della lotta contro la violenza di genere, soprattutto nelle manifestazioni del movimento Ni una menos, nato in Argentina il 3 giugno 2015.
Quindi oggi come tutti anche Radio Febbre con tutto lo staff dice a gran voce BASTA ALLE VIOLENZE CONTRO LE DONNE !
Ricordatevi che ogni volta che una donna lotta per se stessa, lotta per tutte le donne!
Spero che in questa lotta, a questo “grido” si uniscano anche gli uomini e che aiutino a cambiare la società perché ogni donna uccisa, maltrattata, violentata, vessata, può portare il volto della loro mamma, della loro sorella, di una persona amica, qualcuno a loro caro e che imparino ad accettare che ogni rapporto può finire e più di tutto capiscano che, se la donna non vuole loro non possono!
Questa volta le mie non sono solo parole ma un monito alle coscienze di tutti.
Da parte mia è tutto.
Alla Prossima da SonoSoloParole.
Non solo oggi e contro ogni violenza 365 giorni all’anno!