Il 2024 segna il centenario della morte di uno dei più grandi compositori italiani il grande Giacomo Puccini.
Mettetevi comodi, magari ascoltando la musica trasmessa da Radio Febbre, prendetevi una decina di minuti e lasciatevi trasportare nel mondo di Pucciniano.
Ma partiamo col dire chi è Giacomo Puccini.
Giacomo Antonio Domenico Michele Secondo Maria Puccini è nato a Lucca il 22 dicembre 1858 ed è morto a Bruxelles il 29 novembre 1924, era il sesto di nove figli di Michele Puccini e Albina Magi e l’ultimo rappresentante di una famiglia di musicisti, una delle linee generazionali più lunghe della storia della musica dopo i Bach e i Couperin. I nomi: Giacomo in ricordo del trisnonno, Antonio del bisnonno, Domenico del nonno e Michele del padre racchiudono un vero e proprio spaccato della Lucca musicale dal XVIII secolo al XX. Anche il fratello di Puccini, Michele, il nono figlio nato dopo la morte prematura del padre, tenterà la sorte come musicista, ma emigrato in Sudamerica morirà nel 1891 a soli 27 anni.
Di tutta la dinastia Puccini, Giacomo fu il compositore più fortunato e di rilievo infatti dopo Giuseppe Verdi fu proprio Puccini a tenere alte le sorti dell’opera italiana nel mondo e con risultati che si possono considerare di assoluta completezza musicale.
Oltre alla musica, Puccini ha amato la caccia, le automobili, le sigarette, i sigari, i motoscafi, e le abitazioni da acquistare e quindi ristrutturare. La caccia era stato il movente per cui si trasferì a Torre del lago, dove poi costruì la villa, oggi museo e dove poteva sfogare il talento di cacciatore agli acquatici sia in maniera legale che di frodo che, per il suo temperamento, era quasi da preferirsi. Quando il marchese Carlo Ginori Lisci gli accordò il permesso di cacciare, Puccini per sdebitarsi gli dedicò “La bohème” e scrisse una lirica per voce e pianoforte su versi di Renato Fucini, Avanti Urania! per il varo del suo yacht a vapore.
Ricevette i primi insegnamenti musicali dal padre Michele, prima della di lui morte prematura nel 1864. Alla fine dello stesso anno fu iscritto alla scuola privata di musica di Luigi Nerici. Fu iscritto poi nel 1868, nella classe di violino, all’Istituto musicale “G. Pacini”, una scuola molto rinomata anche fuori Lucca; proseguì poi passando nella classe di composizione, nella quale ebbe come insegnante Carlo Angeloni. Nell’ambiente lucchese nacquero le sue prime composizioni, fra cui la Messa a 4 voci come pezzo per il diploma nel 1880.
Dal 1880 al 1883 Puccini frequentò il Conservatorio di Milano, dove ebbe come insegnanti Antonio Bazzini e Amilcare Ponchielli. Fermamente deciso a fare soltanto il compositore e non l’insegnante o l’interprete, subito dopo l’esame finale al conservatorio compose la sua prima opera lirica, “Le Villi”, con cui partecipò, senza successo, al Concorso Sonzogno per opere in un atto. Alcuni amici riuscirono comunque a organizzare una prima rappresentazione dell’opera nel 1884. Fu così che Giulio Ricordi, il più importante editore musicale italiano, si accorse di Puccini, non solo inserì “Le Villi” nel catalogo della sua casa editrice, ma commissionò a Puccini una seconda opera lirica, “Edgar”, la composizione fu molto lunga e laboriosa, ma la prima assoluta, nel 1889, fu un insuccesso.
Nella città lombarda ottenne la fama di sinfonista per l’ispirazione wagneriana delle proprie composizioni, secondo la moda diffusa tra i giovani dell’epoca, ed ebbe modo, grazie all’attività del Teatro alla Scala e delle edizioni musicali Ricordi, d’intraprendere la carriera di operista. Le prime due opere, “Le Willis” (1884) e “Edgar” (1889), su libretto di Franco Fontana, non ebbero particolare fortuna. “Le Willis”, rivista dopo una prima rappresentazione al teatro Dal Verme di Milano, fu acquistata da Ricordi e messa in scena alla Scala nel 1885 in due atti con il titolo “Le Villi”; “Edgar”, invece, venne ritirata. Il capolavoro arrivò alla terza opera, “Manon Lescaut” (1893), in cui i caratteri essenziali della composizione di Puccini, che fondeva intensità lirica ed emotiva con una ricca orchestrazione, erano già chiari. In questi anni, il compositore spostò la propria residenza a Torre del Lago ed iniziò a collaborare con Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, i librettisti che interpretarono con maggior finezza la sua sensibilità. Nel 1896 “La Bohème”, opera di taglio verista, con personaggi tratti dalla realtà quotidiana, lontani dall’eroismo, fu presentata al Teatro Regio di Torino con la direzione di Arturo Toscanini ed aprì a Puccini la strada per la notorietà in Europa. Nel 1900, con “Tosca”, il compositore sperimentò il dramma verista a tinte fosche, con scene violente e ritmo sostenuto, mentre nel 1904 con “Madama Butterfly”, ancora su libretto di Giuseppe Giacosa, tornò al personaggio della fanciulla innamorata ed infelice, destinata ad una triste sorte per la propria ingenuità, nell’ambientazione esotica del Giappone. La prima scaligera fu fischiata, ma la successiva rappresentazione a Brescia segnò il trionfo del compositore.
Puccini aveva stretto una relazione con Elvira Bonturi, moglie del commerciante lucchese Narciso Gemignani, Il loro è stato un amore che, alla fine dell’ottocento, non poteva che dare scandalo. L’incontro con Puccini avviene proprio grazie al marito di Elvira che la spinge a prendere lezioni di pianoforte per combattere la sua solitudine. All’epoca la futura stella della musica e dell’opera era ancora un musicista squattrinato e condividere con Gemignani una conoscenza risalente ai tempi della scuola.
La passione tra Giacomo ed Elvira, dunque, nasce accanto al pianoforte, i due, però, riescono a mantenere segreta la relazione fino a quando non si fanno evidenti i segni di una nuova gravidanza per la donna. Elvira, infatti, è in attesa del terzo figlio ma, questa volta, da Puccini. Per i due amanti, dunque, non rimane che fuggire a Monza dove nasce il piccolo Antonio nel 1886. Qui vivono come una coppia di fatto fino alla morte di Narciso Gemignani. Solamente nel 1904, dopo la morte del primo marito di Elvira, i due poterono legalizzare la loro convivenza e legittimare il figlio Antonio, che aveva già compiuto i 17 anni. Nei primi anni della loro relazione la piccola famiglia visse in difficili condizioni finanziarie in diverse case affittate, talvolta anche ospiti da parenti, separati uno dall’altro.
La relazione tra Elvira e Giacomo, non è mai stata tranquilla e priva di scossoni emotivi. Puccini, infatti, è stato fin troppo sensibile al gentil sesso, atteggiamento che, con l’arrivo del successo, si è andato anche ad acuire. Tra le donne che incrociarono il suo cammino ricordiamo Corinna Maggia, Sybil Seligman e Doria Manfredi, in particolare quest’ultimo caso ha avuto un epilogo drammatico con il suicidio per avvelenamento della ragazza.
Doria era un’addetta alle pulizie alla casa, la quale, non sopportando che il suo nome fosse infangato da pesanti accuse rivolte dalla moglie di Puccini, arriva a togliersi la vita. Tutta la questione muove i primi passi nel momento in cui la ragazza scopre la prima figlia di Elvira a letto con il librettista di Puccini, pur essendo entrambi sposati e per timore di essere scoperta, dunque, la donna decide di far credere a sua madre di una presunta relazione fra Doria e il patrigno, Elvira, da parte sua, non sopportando questa situazione diffama la giovane che, portata alla disperazione, decide di avvelenarsi. Un gesto estremo che è stato attribuito alla insana gelosia di Elvira, per il quale venne avviato un processo per calunnia cui ha fatto seguito una condanna.
Fu soltanto grazie al sempre maggiore successo della sua terza opera, “Manon Lescaut” (1893), che Puccini riuscì a creare una solida base economica per sé e la sua famiglia. Nel 1896 con “La bohème” colse un successo ancora più grande, che si estese presto anche a livello internazionale con i lauti guadagni acquistò due edifici a Torre del Lago e Chiatri, a pochi chilometri da Lucca, e li trasformò in due ville di campagna, di cui mantenne la proprietà fino alla morte. Per qualche anno ebbe anche una casa per la villeggiatura a Boscolungo Abetone. A Milano aveva invece un grande appartamento in affitto.
Il 3 gennaio 1904, in occasione degli allestimenti londinesi di “Madama Butterfly”, conobbe Sybil Seligman, con cui negli anni a venire avrebbe intrattenuto una stretta amicizia. In seguito alla morte di Giacosa e alla rottura dei rapporti con Illica, Puccini, a contatto con librettisti diversi, accentuò la tendenza a rinnovare anche drasticamente il proprio linguaggio musicale. Dopo “La fanciulla del West” su libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini (New York, 1910), poté ritrovare un nuovo collaboratore di fiducia nel giovane Giuseppe Adami, questi firmò i libretti di “La rondine” (Monte Carlo, 1917) e “Il tabarro”, che il compositore raccolse a formare un Trittico di atti unici con “Suor Angelica” e “Gianni Schicchi” di Giovacchino Forzano (New York, 1918). Con Adami e Renato Simoni, nel marzo 1920 Puccini iniziò a lavorare a un nuovo progetto, “Turandot”.
Dal 1922 lasciò Torre del Lago per Viareggio ma di lì a poco si manifestarono le prime avvisaglie di un tumore alla laringe, lo stadio avanzato della malattia spinse Puccini a un tentativo disperato: nel 1924 partì per Bruxelles, dove il 24 novembre si sottopose a un intervento chirurgico sperimentale presso l’Institut du Radium, morì pochi giorni dopo l’operazione e dopo le esequie, tenutesi il 2 dicembre a Milano, le sue spoglie furono traslate nella cappella della villa di Torre del Lago.
Rimasta incompiuta, priva del finale dell’ultimo atto, “Turandot” andò in scena in tale forma al Teatro alla Scala il 25 aprile 1926, entrò in repertorio nel completamento di Franco Alfano e Arturo Toscanini. Nel 2001 Luciano Berio compose una nuova versione del finale su commissione del Festival de Musica de Gran Canaria.
Nel 1910 per la prima volta una prima assoluta di un’opera di Puccini ebbe luogo all’estero con “La fanciulla del West” fece il suo debutto a New York, e si trattò di un grandioso evento. Nel 1913 Puccini ricevette da una casa editrice viennese l’incarico, superpagato, di scrivere un’operetta: ne nacque alla fine l’opera successiva, “La rondine” (1917), con notevoli difficoltà e ritardi a causa della crisi internazionale che, di lì a poco, sarebbe sfociata nella prima guerra mondiale. Puccini trascorse gli anni della guerra, da lui tanto odiata, per lo più in ritiro a Torre del Lago.
In ogni caso i proventi che ricavava dai diritti d’autore bastavano ugualmente a coltivare, anche dopo la guerra, due delle sue passioni predominanti: le automobili (la prima l’aveva comprata già nel 1902 e ne era seguita un’altra dozzina) e, in modo particolare, le case.
“La Bohème” ambientato a Parigi intorno al 1830, racconta la storia d’amore della ricamatrice Mimì e dello scrittore Rodolfo, i quali, insieme ai loro amici artisti, affrontano le difficoltà di una vita povera con spirito di avventura, finché la realtà non finisce per schiacciarli, vita anticonformista e disordinata, tipica soprattutto di artisti e poeti poveri (vita ‘da zingari’, che in Francia provenivano soprattutto dalla Boemia)
Turandot è un personaggio cinese, e il suo nome in cinese non si tratta di un francesismo ma proprio della pronuncia cinese corretta del suo nome originale.
Si tratta della famosa frase “all’alba vincerò” che il Principe Calaf pronuncia con forza perché è sicuro che vincerà la scommessa fatta con la principessa Turandot e che potrà quindi averla in sposa.
“Turandot” è un’opera caratterizzata da forti contrasti, è evidente fin da subito; l’uso insistito di simboli enfatizza ancora di più questo aspetto. Ma Turandot, oltre ad essere l’opera dei contrasti, è anche l’opera del mistero. Il Mistero è ovunque, ed è, a mio parere, il vero soggetto della rappresentazione. Lo si ritrova in mille sfaccettature diverse, e non smette mai di far meravigliare, interrogare e riflettere lo spettatore. Ci sono i misteri palesi, legati agli enigmi di Turandot, e poi all’enigma del nome di Calaf, il principe straniero; ma soprattutto c’è il mistero rappresentato dal personaggio stesso di Turandot, emblema del femminile; senza dimenticare il grande Mistero dell’Amore, e infine il Mistero dell’Altro, concetto fondamentale, anzi, da mettere al primo posto.
A proposito di contrasti, basti pensare all’opposizione Turandot- Calaf, a cui sono collegati rispettivamente concetti, idee, sentimenti, simboli sempre in coppia: femminile-maschile, notte-giorno, luna-sole, freddezza-passione, morte-vita, odio-amore, tenebre-alba, buio-luce, gelo-calore, rifiuto-dono, intelletto-sentimento, ecc. La coppia Turandot-Calaf esprime la guerra dei sessi per buona parte dell’opera, finché, dopo un crescendo di tensione erotica, non interverrà l’amore a mostrare la via per una riappacificazione.
I colori e le immagini aiutano a enfatizzare questi aspetti: “Gira la cote!” è un brano corale dell’opera “Turandot”, in cui la folla invoca appunto l’affilamento della lama che taglierà la testa al Principe di Persia, il quale ha perso la sfida con la Principessa Turandot. Si svolge al tramonto: tra le luci rosse del calar del sole la folla aizza il boia, eccitata dallo spettacolo del sangue; poi cala il buio, e la folla smorza i toni nell’invocazione alla luna, che mostra subito caratteristiche antropomorfe e una simbologia di morte che la ricollega a Turandot; Turandot è la luna: è bianca, lontana, fredda e distante; appare di notte e illumina tutto con la sua bellezza, ma è anche immagine di Morte.
Calaf invece è il maschile, il sole, la Vita; è l’alba che sconfigge le tenebre, il calore che scioglie il cuore di ghiaccio di Turandot; è l’amore che vince e trionfa. Puccini, nelle sue opere, aveva sempre dedicato più attenzione al trattamento dei personaggi femminili: loro sono protagoniste attorno a cui gravitano i personaggi maschili; nella sua ultima opera, invece, il personaggio maschile è molto forte, proprio perché è il portatore dell’amore che alla fine deve trionfare
Oltre alla contrapposizione Turandot-Calaf, esiste anche quella tra Turandot e Liù, due immagini di femminilità diametralmente opposte. Turandot ne rappresenta gli aspetti distruttivi e imprevedibili: amare Turandot equivale ad andare incontro alla Morte. Terrorizzata da immagini violente e barbare dell’eros, rifiuta l’amore in maniera radicale, immaginando di potersi astrarre totalmente in un mondo superiore, più puro, dove non esiste il corpo, ma solo la mente e l’anima. La Turandot di Puccini è senz’altro un personaggio più ‘dark’ e più criptico delle Turandot letterarie a cui è ispirata. Indecifrabile sia nel suo silenzio sia nelle sue parole, è proprio attraverso la musica che possiamo capirne la psicologia così complessa; la musica esprime meglio di qualsiasi parola i moti del suo animo così variabili e intensi. È proprio la musica che la rende umana, altrimenti rischierebbe di apparire soltanto come un mostro assassino.
Liù, invece, è un’umile schiava, piccola e debole, specialmente in confronto ad un personaggio come Turandot. Liù è la poesia dell’amore nella sua forma più pura: dona la sua vita perché l’uomo che ama possa amare non lei, ma un’altra donna. Liù prima di morire parla a Turandot come se si rivolgesse ad una sua pari: le distanze sociali e anche caratteriali sono come annullate; per pochi istanti Liù sovrasta Turandot, perché ha una coscienza e una conoscenza superiore che le viene proprio dall’Amore, quella cosa che ancora Turandot non conosce, e non vuole conoscere. Liù, nata per essere debole e sottomessa, in realtà è un personaggio femminile forte e coerente, mentre Turandot, in apparenza così granitica, è un personaggio femminile debole e disequilibrato, almeno fino al momento in cui non riuscirà ad accogliere in sé l’amore.
Calaf è proprio l’emblema dell’Amore nelle sue varie sfaccettature: amore sensuale, desiderio, compassione, comprensione, accoglienza, consolazione, generosità, dono totale di sé: non dimentichiamo che, alla fine, quando ormai l’alba sorge e la vittoria è sua, decide di rivelare a Turandot il suo nome; in questo modo mette la sua vita nelle sue mani, con il grosso rischio di perderla. È davvero una follia, ma questo mette in luce quanto poco conti la vittoria se manca l‘Amore. E l’Amore è Mistero, inspiegabile.
Nemmeno Calaf è un personaggio granitico: fino alla fine, la sicurezza della vittoria si alterna a momenti in cui “sbianca dalla paura”, (come non si risparmia di sottolineare perfidamente Turandot); tuttavia va avanti lo stesso, e ha la saggezza di sfruttare il vantaggio del tempo. Calaf, oltre ad essere la persona giusta, sa sfruttare il tempo per riuscire, per quanto gli è possibile, a far maturare in Turandot un nuovo ordine di idee, in cui l’amore e la vita finalmente hanno la meglio sull’odio e sulla morte. Ecco la chiave della sua vittoria. Lo vediamo superare gli enigmi facendo affidamento più sui suoi sentimenti che sull’intelletto, la memoria, o il ragionamento. I suoi sentimenti lo guidano sempre nella giusta direzione. Questo alla fine lo capirà anche Turandot (anche grazie al sacrificio di Liù): l’amore non è una debolezza, ma una grande forza, e anche una via di conoscenza.
Come può Calaf amare ancora così ardentemente Turandot, quando la terra è ancora macchiata dal sangue purissimo di Liù? Questa è una cosa difficile da accettare, e ci porta all’altro grande Mistero di Turandot: il suo finale, quel finale che Puccini non poté terminare di suo pugno, e che fu invece completato da Alfano. Il finale doveva essere il momento clou della rappresentazione, secondo le intenzioni dello stesso Puccini. Non era facile, però, voltare pagina così repentinamente: passare dalla tragica morte di Liù ad una celebrazione dell’amore come redenzione, completezza, felicità. Purtroppo non si potrà mai sapere come Puccini avrebbe risolto questa impasse; questo resterà veramente un mistero per sempre.
“Nessun dorma” è un’Aria tratta dal finale del terzo Atto dell’Opera “Turandot” ed è una delle più famose Arie per Tenore nella storia del Melodramma italiano, è una delle arie d’opera più famose e di successo di tutti i tempi. Proviene dalla scena in cui Turandot dispone che nessuno possa dormire prima che sia stato scoperto il nome del principe ignoto.
“Turandot” rimase senza finale, fu eseguita alla Scala il 25 aprile 1926 e, nonostante che fosse stato commissionato a Franco Alfano un finale sugli appunti di Puccini, Toscanini depose la bacchetta alla morte di Liù dicendo: Qui finisce l’opera perché a questo punto il maestro è morto. Turandot.
Giacomo Puccini dal 1925 riposa nella villa di Torre del lago in una cappella voluta dal figlio Antonio che commissionò la decorazione funebre ad Antonio Maraini.
Per celebrare al massimo questo evento, dopo l’edizione berlinese, tocca all’Italia la mostra Puccini – Opera Meets New Media al Museo Teatrale alla Scala di Milano il 24 ottobre e sarà visitabile fino al 12 gennaio 2025, per raccontare una figura fondamentale come l’artista lucchese, non solo a livello prettamente artistico ma in una dimensione legata a quella che oggi è la moderna “music industry” e la diffusione dell’editoria musicale. L’incontro Puccini Digitale al Meet Digital Culture Center di Milano è stato il momento giusto per fare un tuffo profondissimo nell’ambito più contemporaneo di Puccini.
L’indole di Giacomo Puccini spingeva da sempre verso l’innovazione. In vita cambiò addirittura 14 auto ma già prima la passione per la bicicletta era stata forte. E poi ancora il cinema, la fotografia, i motoscafi e i treni. Non sono rare le foto di lui con i suoi mezzi. Sul fronte musicale i suoi grandi successi come “La Bohème”, “Tosca”, “Madama Butterfly” e “Turandot” capitarono in un momento di forte cambiamento nell’economia dell’intrattenimento: da una parte il disco a 78 giri inventato da Emile Berliner nel 1889 e dall’altra il cinematografo dei fratelli Lumière nel 1895 iniziava a farsi largo insieme alle prime sale a pagamento. In quel breve lasso di tempo stava cambiando la fruizione della musica e delle immagini in concorrenza con i teatri. Già nei primi del 900 alcuna della sua musica veniva venduta sotto forma di rulli per pianoforti meccanici e dischi, come detto, a 78 giri.
Puccini plasma i suoi più grandi successi in un’epoca di rivoluzionarie innovazioni dei media, moltiplica la distribuzione della musica drammatica e la rende popolare in una misura senza precedenti nel giro di pochi anni.
Insieme a Giulio Ricordi, suo editore musicale, ha cambiato il modo di commercializzare la musica adottando tutte le principali tecniche a disposizione per diffondere il più possibile la sua arte. La mostra Puccini – Opera Meets New Media apre le porte e racconta la sua grande rilevanza attraverso diverse installazioni audiovisive: dalla modellazione digitale in 3D di un ritratto di Puccini all’animazione AI di scenografie storiche. Sono numerosi i documenti originali esposti dell’Archivio Storico Ricordi, di proprietà di Bertelsmann.
Un altro esempio per raccontare la sua portata erano gli innumerevoli oggetti e memorabilia che sono arrivati a noi come calendarietti, porcellane, piattini, scatole di sigari ispirate a “Madama Butterfly”, contenitori per nastri di macchine da scrivere, piatti di Fornasetti ispirati ai personaggi di Puccini e tanto altro. Un brand prima ancora che il termine venisse coniato.
Presso il MEET Digital Culture Centre di Milano, si è svolto l’evento Puccini Digitale. Un nuovo sguardo su musica e teatro. Un appuntamento utile per esplorare l’interazione tra innovazione tecnologica e musica operistica, con un’attenzione particolare alla figura di Giacomo Puccini. In occasione del centenario della sua morte, l’incontro ha offerto l’opportunità di riflettere su come le tecnologie digitali possano trasformare la conoscenza e la fruizione dell’eredità artistica del compositore toscano.
Il fatto è che Puccini fu un personaggio per molti aspetti “clamoroso”: un protagonista della Belle Époque, un riconosciuto leader culturale e musicale della sua epoca, un “bon vivant” dal carattere estroverso ma anche ombroso, capace di passare da grandi entusiasmi a profondi scoramenti.
Puccini,un grande che ci ha lasciato un vastissimo e preziosissimo patrimonio culturale e musicale!
Da Parte mia è tutto.
Alla Prossima da SonoSoloParole.