Oggi 27 Gennaio è Il Giorno della Memoria, una giornata internazionale indicata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2005 per ricordare la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, e tutti i deportati nei campi nazisti, già introdotta in Italia con la Legge n. 211 del 20/07/2000.
Esattamente ottant’anni fa, il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz ma solo dopo tutto il mondo è venuto a conoscenza dell’Inferno che era li.
Con l’occasione di questa giornata voglio ricordare insieme a tutti voi questo momento buio della storia e voglio farlo con un racconto-reportage di un mio personale viaggio fatto tra quei posti.
La scorsa settimana ho voluto recarmi a visitare Auschwitz e Birkenau e voglio descrivervi le mie sensazioni, emozioni e rivivere con voi ciò che ho visto, è stato un viaggio fortemente voluto e fatto, non un viaggio di vacanza ma di scoperta e ricordo.
Premetto che non farò un racconto sulle vicissitudini dal 1939 al 1946 perché per queste ci sono milioni di libri da leggere sicuramente più interessanti, tanto meno discorsi politici da rivangare.
Questa non è una meta turistica, un luogo di svago o un luogo in cui si è obbligati ad andare, se non si ha la capacità d’animo di ascoltare quelle parole così dure da sembrare incredibili e quella terra su cui camminerete, e quelle stanze cupe, allora desistete perché visitare Auschwitz e Birkenau è come fare un cammino dentro se stessi, non un luogo dove sorridere di fronte ad un selfie.
Auschwitz è situato nel sud della Polonia, è il toponimo in lingua tedesca con cui viene indicata la località polacca di Oswiecim, che era una cittadina di circa 12.000 abitanti, nelle cui vicinanze all’epoca erano ancora presenti baracche in rovina di un’unità di cavalleria austriaca e l’esercito tedesco vi stabilì inizialmente un reparto di truppe logistiche, la città è tristemente nota poiché sede dell’omonimo campo di concentramento.
Io, insieme ai miei compagni di viaggio, dopo esser arrivati nella fredda Cracovia, abbiamo preso il bus alla stazione centrale di Cracovia per Oswiecim, sappiate che non troverete mai la scritta Auschwitz sui bus, e in circa un’ora e mezza siamo arrivati direttamente all’ingresso di uno dei simboli dell’Olocausto per eccellenza, Auschwitz.
La visita in italiano iniziò con la visione di un documentario di 50 minuti sulla vita ad Auschwitz e la liberazione del campo nel gennaio del 1945, trasmesso sul pullman durante il tragitto.
Il complesso di Auschwitz, inizialmente concepito come campo di concentramento per prigionieri politici polacchi, fu istituito dalle Schutzstaffel, meglio conosciute come SS nel 1940 ma ben presto si trasformò nel più grande e letale campo di sterminio del Terzo Reich.
Arrivati ad Oswiecim insieme alla guida oltrepassammo il tristemente famoso cancello d’ingresso con la scritta “Arbeit macht frei” Il lavoro rende liberi, già, questa cinica menzogna che simboleggia l’inganno e la crudeltà del regime nazista!
L’atmosfera era macabra, fuori si congelava e tutto rendeva ancora più reale l’esperienza, proprio perché non riuscivamo a capacitarci di quanta forza i prigionieri abbiano avuto per lottare per vivere con determinate temperature.
La visita ad Auschwitz-Birkenau si è svolta in di due parti principali: Auschwitz I, il campo originale, e Auschwitz II-Birkenau, il vasto campo di sterminio, entrambe le aree offrono testimonianze uniche e potenti della tragedia dell’Olocausto.
Il 17 gennaio 1945 i nazisti cominciarono ad evacuare Auschwitz, dato l’avvicinarsi delle truppe sovietiche, le SS cominciarono l’ultima evacuazione dei prigionieri del complesso di Auschwitz, costringendoli a marce forzate, che li portarono all’interno del Reich, queste evacuazioni diventeranno poi note come “marce della morte”.
Nell’area della prima parte del campo di concentramento di Oświęcim, Auschwitz I noto anche come Stammlager o campo principale, nei blocchi carcerari visitammo le mostre che rappresentano la storia stessa di Auschwitz.
Subito dopo visitiamo le cucine del campo, ovviamente le cucine erano per i “signori privilegiati” i soldati, e accanto alle cucine c’era una piccola piazzetta, nella quale l’orchestra del campo suonavano marce che dovevano regolare il passaggio di migliaia di internati per facilitarne la conta da parte delle SS.
Successivamente visitammo i blocchi nr 4,5,6,7,11 e il cortile tra i blocchi 10 e 11 con il “Muro della morte”, dove le SS fucilarono migliaia di prigionieri.
Il Blocco 4 ospita una mostra intitolata “Sterminio “che documenta il processo di uccisione di massa, qui si trovano modelli delle camere a gas, migliaia di barattoli di Zyklon B e altri oggetti legati allo sterminio sistematico.
Nella visita di Auschwitz I siamo entrati nei luoghi più significativi del campo, il Blocco 5 dovesi trova una mostra dedicata alle prove materiali dei crimini tra i quali i locali dove sono conservate le valigie appartenute ai prigionieri, il locale con i resti di oggetti personali ed occhiali dei deportati, sono esposti cumuli di oggetti personali confiscati ai prigionieri: valigie, occhiali, scarpe e persino capelli umani, milioni di capelli rossi, castani, biondi, grigi, bianchi, i locali destinati a prigione e sale per gli interrogatori, la cella dove è stato recluso anche San Massimiliano Kolbe ed il luogo delle fucilazioni, fino a giungere alla “sala docce” e l’annesso crematorio.
Il Blocco 6 è dedicato alla vita dei prigionieri, mostrando le terribili condizioni in cui erano costretti a vivere, fotografie, documenti e ricostruzioni degli alloggi offrono uno sguardo sulla realtà quotidiana del campo.
Il Blocco 11, noto come il “Blocco della Morte “, era il centro di punizione del campo, nelle sue celle, i prigionieri subivano torture e esecuzioni.
Il cortile tra i Blocchi 10 e 11 era il luogo delle fucilazioni di massa, il piazzale dell’appello dove le SS contavano i detenuti verificandone la presenza, agli appelli spesso si compivano pubblicamente esecuzioni capitali sulla forca mobile o su quella collettiva, una sua riproduzione si trova sul piazzale.
Nel Blocco 10, i medici nazisti sfruttavano i detenuti come cavie per i loro esperimenti dove il dottor Josef Mengele, soprannominato “Todesengel” “l’angelo della morte”, torturava i bambini, mentre il dottor Karl Clauberg iniettava alle donne sostanze chimiche nelle tube di falloppio, per sterilizzarle.
La visita ad Auschwitz I si concluse al crematorio I, l’unico rimasto intatto in questo settore del campo, qui si vedono la camera a gas e i forni crematori, testimonianze concrete dell’orrore dello sterminio di massa è al di fuori del recinto del campo di concentramento. Davanti alla sua entrata, nel luogo dove durante il periodo di attività del campo si trovava la baracca della Gestapo, vi è situata la forca alla quale il 16 aprile 1947 trovò compimento la sentenza di condanna a morte del primo comandante Rudolf Höss.
In un angolo del campo di concentramento, a un passo da dove si innalzavano gli infami forni crematori, nella ruvida superficie di una pietra, qualcuno, mi chiedo chi, ha lasciato inciso con l’aiuto di un coltello forse, o di un chiodo, la più drammatica delle proteste: “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia” a solo leggerla mi si accapponò la pelle..
All’uscita da questo “primo inferno” abbiamo preso il bus navetta e dopo 10 minuti ci ha portato all’ingresso del campo di sterminio più cruento, Birkenau.
Birkenau, il bosco di betulle è lì, a pochi passi, con il suo silenzio, il torrente, gli animali, gli internati del campo di sterminio li vedevano, potevano quasi toccarli ma il filo spinato separava i due mondi, bastava un metro, di là la salvezza, di qua l’orrore senza fine.
Qui si arriva nella desolazione più totale e mentre il vento gelido della Polonia tagliava come una lama, trovammo una serie infinita di baracche, alcune meglio conservate di altre, si vedono appena varcato l’ingresso.
Auschwitz II-Birkenau fu costruito nell`area del paese di Brzezinka, in tedesco Birkenau, vi è una superfice di circa 175 ettari in cui furono costruite più di 300 baracche.
Nella primavera del 1942 venne presa in considerazione l’esigenza di costruire una stazione ferroviaria a Birkenau e venne progettata una linea ferrovia che attraversasse l’edificio delle guardie all’entrata, connessa con la linea che giungeva alla stazione preesistente di Auschwitz I, e la visita proseguì proprio lungo questo scalo ferroviario, al quale furono diretti la maggior parte dei convogli di Ebrei dall’Ungheria, dove al termine si vedono le rovine di due forni crematori e le rispettive camere a gas, fatti saltare in aria delle SS in ritirata, nel tentativo di cancellare le tracce dei crimini commessi, già, come se si potesse cancellare uno sterminio ci massa!!
Al centro del campo c’è ancora un vagone, le baracche sono rimaste così come le hanno trovate, con file e file di assi di legno a formare i letti, latrine al centro.
Entrammo passando sotto La Torre di guardia, guardando il lungo binario ferroviario che conduceva i detenuti fin dentro il campo e dove le SS selezionavano gli ebrei per le camere a gas, il suo caratteristico edificio a torre e il binario ferroviario che si estende al centro del campo, è una delle immagini più iconiche di Auschwitz II.
Questo era il punto di arrivo per la maggior parte dei deportati, a metà del percorso si può vedere una baracca particolare, quella dedicata ai bambini dagli 0-14 anni, già avete capito bene anche i bambini hanno fatto parte di questo triste epilogo separati dalle famiglie, dalle mamme, lì disegnavano e si immaginavano il mondo fuori di lì e molti di loro nemmeno videro mai il “mondo” fuori di lì! Spiragli di innocenza dipinti sui muri della realtà crudele!!
Alcune baracche sono state ricostruite per mostrare i letti a castello qui dormivano tutti assieme in giacigli come quelli che si vedono di solito nei film, questo è il campo in cui il treno passa sotto la porta di ingresso, in Schindler’s list si vede benissimo, e le latrine primitive, le rovine delle camere a gas e dei crematori II e III sono forse i luoghi più toccanti di Birkenau, distrutti dai nazisti in ritirata, questi resti sono un potente memoriale alle vittime.
A Birkenau c’erano quattro crematori, i crematori II e III, IV e V. I crematori II e III erano identici entrambi con due camere a gas sotterranee e cinque fornaci, entrarono in attività nel marzo e giugno 1943, nei crematori II e III lo spogliatoio, anzi un grande spogliatoio di circa 280 metri quadrati e la camera a gas si trovavano nel sotterraneo.
Le persone, mentre si avvicinavano al crematorio, vedevano tutto… quella violenza terribile, il terreno interamente circondato da SS in armi, i cani che abbaiavano, le mitragliatrici pronte a sparare al “minimo fiatare” dei prigionieri!
Tutti sospettavano… erano certo animati da neri presentimenti…ma nessuno di loro, nei suoi incubi peggiori, avrebbe potuto immaginare che fra tre o quattro ore sarebbe stato ridotto in cenere.
Quando entravano nello spogliatoio appariva loro un vero e proprio Centro Internazionale di informazione dato che ai muri erano fissati dei ganci, ognuno dei quali portava un numero.
Sotto, delle panche di legno perché la gente potesse spogliarsi “più comodamente”, sui numerosi pilastri di sostegno di quello spogliatoio sotterraneo erano affissi degli slogan in tutte le lingue: “Sii pulito!”, “Morte ai pidocchi”, “Lavati!”, “Verso la sala di disinfezione”, tutte quelle scritte avevano l’unico scopo di “attirare” verso la camera a gas le persone già svestite, e sulla sinistra, perpendicolarmente, la camera a gas, munita di una porta massiccia.
Nei crematori II e III, le cosiddette “SS addette alla disinfezione” introducevano i cristalli di gas Zyclon dal soffitto, e nei crematori IV e V da aperture laterali dove passavano allo stato gassoso e con 5 o 6 cassette di gas uccidevano 2.000, gli “addetti alla disinfezione” arrivavano in un veicolo segnato da una croce rossa e scortavano le colonne per far loro credere che li accompagnavano al bagno, ma in realtà la “croce rossa” non era che finzione, essa mascherava le cassette di Zyclon e i martelli per aprirle.
Possiamo solo immaginare, il gas quando cominciava ad agire, si propagava dal basso in alto, e nella lotta spaventosa che allora si scatenava, perché si era una lotta, nelle camere a gas toglievano la luce, era buio, non ci si vedeva, e i più forti volevano sempre salire, salire più in alto.
Certamente sentivano che più si saliva meno mancava l’aria, meglio si poteva respirare, si scatenava una battaglia e, nello stesso tempo quasi tutti si precipitavano verso la porta, era un fatto psicologico, la porta era lì… ci si avventavano, come per istinto, irreprimibile istinto in quella lotta contro la morte, ed è per questo che i bambini e i più deboli, i vecchi, si trovavano sotto gli altri e i più forti sopra e in quella lotta di morte il padre non sapeva più che suo figlio era lì, sotto di lui!
Nei crematori II e III l’acido cianidrico in cristalli, lo Zyklon B veniva gettato nei sotterranei attraverso gli sfiatatoi.
Pensate che lo Zyklon B manifestava il suo effetto letale in 3-15 minuti, inoltre le camere a gas di Birkenau potevano contenere fino a 2.000 vittime per volta e nell’ultimo periodo il centro di sterminio divenne in grado di sterminare fino a 6.000 persone al giorno!
E pensare che lo Zyklon era “solo” un prodotto chimico utilizzato per la “lotta contro i parassiti” per disinfestazioni industriali, disinfezione di abiti e disinfestazioni da pidocchi, prodotto dalla Degesch.
L’assurdità e atrocità lo dimostra anche il fatto che i soldati delle SS avevano il “solo” compito di chiudere le porte dei forni, mentre lasciavano che parte degli stessi prigionieri ebrei inserissero i corpi per il “viaggio finale”.
La cosa che mi ha indignata è che, all’entrata di Birkenau vi è l’indicazione di una sponsorizzazione effettuata da alcune aziende, tra cui un paio tedesche fortemente “sospettate” di aver prodotto nel periodo bellico il gas Zyclon B usato nelle camere a gas … già si sa “pecunia non olet”!
Le baracche di muratura sono situate alla sinistra dello scalo ferroviario, e le baracche in legno alla destra, pensate che le baracche sopra il soffitto e sotto alla parte finale delle baracche ci sono fessure enormi e da cui negli inverni rigidi Polacchi la neve arrivava fino a metà baracca infilandosi da li.
Qui, situato tra le rovine dei forni crematori II e III vi è il Monumento Internazionale in Memoria delle Vittime del Nazifascismo di Auschwitz, offre un luogo di riflessione e commemorazione con le sue 23 targhe in diverse lingue ricordano le vittime di tutte le nazionalità, eseguito da due italiani Giorgio Simoncini e Pietro Cascella, inaugurato solennemente nell`Aprile del 1967.
Successivamente abbiamo visitato una delle baracche di muratura dove alloggiavano le detenute che dormivano in cuccette a tre piani su paglia marcia e al termine della visita, per poter vedere da vicino le condizioni in cui vivevano le persone e abbiamo visto le assi piegate, già piegate per il peso delle numerose persone che ogni “letto” doveva sopportare, originariamente erano stalle da campo per 52 cavalli, nelle quali dopo avervi portato qualche piccola modifica, si giunse ad alloggiarvi fino a 1.000 detenuti.
Al termine della seconda parte della visita, mi hanno dato la possibilità di salire sulla torre dell’ex posto di guardia principale delle SS, da cui si ha una cruente panoramica del più grande campo di sterminio nazista, dove morirono oltre un milione e mezzo di detenuti provenienti da tutta Europa ma forse il numero non è stato mai certo!
Questo campo di Birkenau, Il Canada, come veniva chiamata dai prigionieri, offre una prospettiva unica sulla scala industriale dello sterminio, una “catena di montaggio di morte”!.
Pensate che per urinare avevano a disposizione solo 5 secondi altrimenti era una scusante per “finirli” e ciò avveniva solo 2 volte al giorno la mattina e la sera!
Una frase che mi ha colpito di George Santayana all’inizio del percorso dice: “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”, come dargli torto?
Chi ha visitato quei posti sa bene che visitare Auschwitz è un’esperienza talmente forte che anche dopo essere rientrati a casa, quelle storie rimarranno sempre con te.
Ricordare e testimoniare di persona quel che accadde ad Auschwitz e tutti gli altri campi di concentramento nel periodo del regime nazista è un nostro dovere nei confronti di tutto il genere umano e di tutte quelle povere vittime che sono state private di tutto senza alcun motivo, privati di tutti i beni, della dignità, costretti a sopportare la fame, il sonno, il freddo a volte anche –20 sotto zero: tutto questo ha bisogno di un tributo, anche solo con una visita e con la memoria, perché ancora ci sono persone che negano la strage dell’olocausto e della stessa esistenza di tutta questa fabbrica della morte.
Difficile esprimere un giudizio, tanta atrocità in un unico luogo è difficile da descrivere.
Camminare nelle strade e nei sentieri, sulla terra dove sono stati compiuti dei crimini atroci trasmette un senso di pesantezza e ansia, una visita da far venire i brividi, estremamente educativo, lascia molto a cui pensare, calpestare lo stesso suolo di quelle povere persone porta ad un mix di sconforto ed incredulità. Personalmente, ciò che mi ha lasciato” raggelata” è stata Birkenau, incredibilmente vasta, rende perfettamente l’idea della enorme quantità di persone “avviate” verso un viaggio senza ritorno!
Non è stato facile trovare parole per descrivere quei posti, niente di quello che avete letto nei libri o visto nei film si avvicina alla immensità della barbarie che si respira ancora oggi fra quelle costruzioni, la visita dovrebbe essere obbligatoria per tutti, come vaccinazione contro la bestialità, uno dei posti dove ti fermi a riflettere museo a cielo aperto di un passato che non è neanche troppo lontano, una visita impegnativa di quattro ore che riportano indietro nel tempo e mettono i brividi.
L’atmosfera è densa, immobile e il vento freddo penetra nell’anima a risvegliare e testimoniare l’orrore che li si è compiuto, un luogo che fotografa la malvagità e la follia umana.
Più che una visita è stato un riandare indietro nel tempo, un’immersione in un orrore senza fine, e anche se molto frequentati, non ho riscontrato rumori, schiamazzi e confusione.
Dovremmo lavorate tutti insieme affinché bambine, bambini, ragazze e ragazzi imparino l’importanza del fare memoria di uno dei periodi più bui della storia umana nel quale vennero assassinate milioni di persone, ebrei innanzitutto, ma anche persone con disabilità, Rom e Sinti (il Porrajmos), omosessuali, oppositori politici, testimoni di Geova, una ferita ancora aperta nella cultura occidentale.
Servono momenti di riflessione anche con nuovi linguaggi per coinvolgere bambine, bambini, ragazze e ragazzi attorno ai temi dell’Olocausto, delle deportazioni, delle discriminazioni e della diversità che hanno segnato quel periodo e che ancora oggi devono essere ricordati, elaborati e discussi per affrontare con maggiore consapevolezza le insidie del presente perché, per un essere umano in formazione, incerto della propria identità e del futuro, è difficile accettare che il mondo che lo attende includa la possibilità di un simile orrore.
Ricordare non basta, il ricordo non resta lì per sempre, a volte ci si emoziona per un attimo e poi tutto vola via, perché resti, questo è il punto, il ricordo si deve trasformare in memoria, memoria è quando i ricordi diventano mattoncini del nostro oggi. Noi siamo qui e rappresentiamo il presente, lo sappiamo, ma senza il passato non avremmo senso, saremmo una scatola vuota.
C’è bisogno di qualcuno che in un preciso momento ti dica: Alt! Fermati un attimo per sentire e pensare, non solo un giorno obbligato, quindi sì al giorno della memoria, ma anche sì alla memoria tutti i giorni e favorire una riflessione condivisa tra generazioni anche su questo delicato tema è compito non facile ma indispensabile, soprattutto in un periodo come questo nel quale troppo spesso emergono semplificazioni eccessive quando non veri e propri revisionismi e distorsioni della verità e con guerre “scellerate” in atto, certamente senza retorica né paternalismo, contestualizzando gli eventi, usando i materiali più adatti, si deve porre la giusta attenzione al fine di impedire che, soprattutto negli adolescenti, sorga un desiderio di rifiutare l’intollerabile.
Il viaggio a Auschwitz-Birkenau è stata un’esperienza profonda, che mi ha offerto l’opportunità di confrontarmi direttamente con le tracce tangibili di eventi che hanno segnato il corso della storia, per me questo viaggio non è stata solo un’escursione turistica, ma un pellegrinaggio educativo e commemorativo, un modo per onorare le vittime e riflettere sulle lezioni del passato.
I prigionieri che non venivano immediatamente uccisi all’arrivo erano sottoposti a condizioni di vita disumane, lavori forzati estenuanti, esperimenti medici atroci e torture e Il 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa sovietica liberò Auschwitz, trovando solo poche migliaia di prigionieri sopravvissuti, i nazisti, in ritirata, avevano cercato di distruggere le prove dei loro crimini, ma le dimensioni e la portata dell’orrore erano innegabili.
Dopo la guerra, ex prigionieri e attivisti si impegnarono per preservare il sito come memoriale e nel 1947, il parlamento polacco istituì ufficialmente il Museo Statale di Auschwitz-Birkenau.
Nel 1979, l’UNESCO ha dichiarato Auschwitz Patrimonio dell’Umanità, riconoscendone l’importanza storica e il valore educativo per le generazioni future.
In Polonia l’inverno raggiunge temperature rigidissime e pensate cosa hanno dovuto sopportare i prigionieri che erano coperti solo di un pigiama leggero.
Varcando il famoso cancello con la frase “ARBEIT MACHT FREI, “il lavoro rende liberi” dicevo tra me e me questo è l’inferno! Chi è stato deportato lì ha varcato la vera e propria porta dell’inferno, dove l’essere umano venne privato di tutti i valori prima di morire, mi muovevo con lo sguardo basso, quasi come se non volessi davvero vedere tutto quello che mi circondava, anche perché della guerra mondiale ne abbiamo sentito parlare fino allo sfinimento, tramite libri, lezioni o documentari, ma camminare per ore ed ore in quel silenzio agghiacciante con un’aria gelida che ti assottiglia il respiro, trovarmi a faccia a faccia con tutti gli oggetti personali, i capelli, protesi, busti ortopedici ma anche pentolame di chi ingenuamente pensava di poter cucinare i propri cibi lì dentro valigie, i dormitori, ti rende debole e incapace di realizzare come un uomo possa diventare un vero e proprio mostro! Ancora oggi mi fermo e non riesco a immaginare una persona che vive con la morte davanti agli occhi dove nella sua mente sussurra costantemente la frase:” Sarò io il prossimo?” E che non sa se si sveglierà il giorno dopo o peggio si “augura” la morte per “evadere” da quell’inferno senza fine, persone violate e dimenticate dove la libertà è stata vestita con stracci a righe bianche e blu, marchiata sulla pelle, lasciando ferite ben più profonde di semplici numeri.
Di quelle donne, di quegli uomini cerchiamo i nomi, corpi, qualche traccia concreta incisa su un muro, una parola trascritta su un foglio di carta, ma di tanti, quasi tutti, non c’è nulla, forse nemmeno la cenere che i nazisti spargevano intorno al forno come “concime per il loro orto”, come se non fossero mai esistiti, divenuti polvere nel vento dove le mura della speranza sono crollate come castelli di carte!
Questo volevano i tedeschi, cancellare, annientare, togliere i vestiti, i capelli, perfino il nome, eppure mentre camminavo per il campo di sterminio di Birkenau pensavo che i nazisti non ci sono riusciti, hanno fallito perché siamo qui a ricordarli!
Guardavo quelle “cuccette”, che poi sono soltanto un cubicolo di legno di un paio di metri dove dormivano in due, forse in tre o venti a volte, non c’era spazio per muoversi, per alzarsi, per respirare, soltanto per condividere notti di terrore, di gelo, di tosse e parassiti, già perché le SS davano loro coperte piene di pulci.
Avevano tolto ogni cosa a chi dormiva li ma alla fine è rimasto proprio ciò che non si vedeva, che non si poteva toccare, sono rimasti i pensieri, i sogni, gli incubi terribili, anche, delle notti del lager illuminate da fari, interrotte da sirene e latrare di cani, sogni, pensieri, speranze insensate, mi pare di vederli in quelle cuccette, appesi al soffitto alto due spanne, nascosti tra una pietra e l’altra oppure aggrappati allo spicchio di finestra da cui si vedeva soltanto un pezzo di prato, qualche betulla, un forno crematorio, che fumava, fumava senza sosta mentre loro erano lì a “tremare”!
E’ una visita che continua a scavarmi dentro, le foto dei prigionieri con le date di entrata e di morte, gli uomini giovani resistevano anche un anno, le donne in generale un paio di mesi, i mucchi di scarpe, di valigie con i nomi dei proprietari, di occhiali, di capelli: i capelli…non si può immaginare quanti sono, ma quando i russi sono entrati nel campo ne hanno trovate 7 tonnellate, ma lì ce ne sono ancora tanti, dietro una parete di vetro lunga una decina di metri c’è una montagna di capelli.
A causa della crescente quantità di prigionieri selezionati ai lavori forzati, divenne necessario costruire altri Lager, utilizzando come manodopera gli stessi deportati, e, tra il marzo 1941 e il febbraio del 1942, nacque anche il plesso di Auschwitz III – Buna, nella località di Monowitz, oltre a ben altri quaranta sotto campi. Era situato a 7 Km dal campo principale, vicino alla fabbrica che il Gruppo Industriale IG Farben voleva costruire per produrre gomma sintetica, ed era per questo detto Buna e proprio nel campodi Monowitz Primo Levi fu internato come chimico, quindi abile allo sforzo bellico.
Non me ne vogliate ma ho scelto di proposito di inserire in questo articolo alcuni disegni fatti da un prigioniero, un pittore e scultore francese di origine polacca noto proprio per i suoi disegni, dipinti espliciti basati sulle sue esperienze come detenuto ebreo, sto parlando di David Olère perché l’arte deve anche aiutare a stampare nella mente delle persone le cose importanti che diventano indelebili nel momento in cui si uniscono alla tela, ai colori, alle forme.
David Olère che nacque a Varsavia il 19 gennaio 1902 e studiò all’Accademia di Belle Arti, dopo aver vissuto e lavorato in Germania qualche anno, nel 1923 si trasferì a Parigi, dove lavorò come pubblicitario e costumista per la Paramount Pictures, era un tranquillo uomo come tanti, sposato e con un figlio, quando il 20 febbraio 1943, Olère fu arrestato dalla polizia francese durante un rastrellamento di ebrei nella Seine-et-Oise.
Il 2 marzo 1943 giunse insieme a circa mille ebrei ad Auschwitz-Birkenau e fu selezionato insieme con altri diciotto per il lavoro, mentre il resto finisce “gasato” poco dopo l’arrivo.
Registrato come prigioniero 106144, lo assegnano al Sonderkommando, la squadra speciale di prigionieri costretta ad accompagnare quelli destinati alla morte e poi svestire, tagliare i capelli, estrarre i denti d’oro ai cadaveri, svuotare le camere a gas e cremare i corpi.
I membri di quest’unità vivevano in settori dei campi, completamente separati dagli altri deportati e, normalmente, ricevevano un trattamento migliore come maggiori quantità di cibo, vestiti più pesanti e, probabilmente sopportare meglio l’orribile lavoro, anche alcolici, sono quelli che Primo Levi ne “I sommersi e i salvati” definisce “miserabili manovali della strage” e sul ruolo dei quali è ricaduta, condivisibile o non condivisibile che sia, l’accusa di non essersi rifiutati, di non aver provato a far nulla per evitare l’uccisione di così tanti innocenti, David Olère non si è rifiutato, probabilmente come tanti lì non si è potuto rifiutare, ma fu uno dei pochi deportati a vedere con i suoi occhi tutte le fasi del processo di sterminio uscendone vivo, anche se per la maggior parte del tempo veniva impiegato per realizzare opere d’arte per le SS e per tradurre trasmissioni radiofoniche poiché conosceva molte lingue.
David Olère riuscì a salvarsi anche perché parlava sei lingue: polacco, russo, yiddish, francese, inglese e tedesco, utile quindi come interprete per tradurre le notizie trasmesse dalla BBC, le SS apprezzavano anche la sua abilità come illustratore e da lui si facevano scrivere le lettere da spedire ai familiari con un’elegante calligrafia gotica e decorazioni floreali, pensate a cosa pensavano quei “signori” soldati!
David Olère morì il 21 agosto 1985. Se vi va cercatele in rete queste opere ve le consiglio, all’epoca non c’erano telefonini con cui potevano “immortalare” l’attimo se non foto che le SS facevano fare a loro piacimento per coprire quel crimine e “infiocchettarcelo” come qualcosa di normale, manipolando la realtà ma alcuni “fotografi” qualche volta ne facevano alcune di nascosto ed è per questo che di quel momento buio abbiamo qualche testimonianza non falsata dalle SS.
Ma non bisogna dimenticare che anche da noi in Italia, a Trieste nella Risiera di San Sabba ci fu l’unico campo di sterminio nazista italiano, la città giuliana, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, entrò a far parte insieme alle province di Udine, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana, della cosiddetta “zona di operazione del Litorale Adriatico”, sotto il diretto controllo del Terzo Reich. La Risiera di San Sabba, fu costruita agli inizi del ‘900 per la pilatura del riso ma negli anni ’40 andò in disuso, la struttura e i locali vennero adatti all’internamento di diverse categorie di prigionieri.
La Risiera di San Sabba fu utilizzata come campo di transito per i deportati diretti ai lager di Buchenwald, Dachau e Auschwitz, tra loro ebrei ma anche prigionieri politici e partigiani italiani e slavi, rastrellati in città e nelle aree circostanti, la Risiera fu trasformata con l’edificazione di un forno crematorio collegato alla preesistente ciminiera e di alcune celle destinate ai condannati, in un vero e proprio campo di sterminio.
I prigionieri politici venivano sottoposti a torture o usati come ostaggi da eliminare in caso di rappresaglie, ma prima di essere uccisi, i prigionieri anche qui erano costretti a spogliarsi e da un calcolo dei vestiti messi in deposito da un prigioniero, la Corte d’Assise di Trieste stabilì che le vittime sono state non meno di 2.000, esclusi gli ebrei, ma altre fonti italiane e iugoslave danno cifre di 4.000 e le ceneri e ossa del forno venivano gettate in mare e i prigionieri venivano uccisi con il gas dei motori di camion e con colpi di pistola alla nuca, gli ebrei, invece, passano per la Risiera nella rotta verso Auschwitz, e solo alcuni, considerati “non trasportabili”, vengono uccisi a Trieste.
Quello della Risiera è stato l’unico forno crematorio attivo in Italia, e fu fatto esplodere dai tedeschi in fuga alla fine di Aprile del 1945.
Voglio chiudere questo lungo e cupo reportage con una poesia di Primo Levi
Non dimenticherò mai quanto visto in quei posti di sofferenza, di tortura, di sterminio perché la morte dentro quei posti pervade dovunque si giri l’occhio e lo sguardo annichilisce!
Li si sente il peso della storia ed il silenzio parla più forte di qualsiasi parola quindi non dimentichiamocelo mai e lottiamo perché non succeda mai più perché a solo pensarlo, un filo spinato si attorciglia intorno all’anima soffocandone la voce!!
Abbiamo varcato la soglia del non ritorno e delle menzogne da cui il ricordo non è mai fuggito, la dignità e le speranze sono state schiacciate dalla brutalità dell’uomo, vite sacrificate dietro a falsi valori di una bandiera che ha portato solo distruzione…
…mai come oggi vorrei che le mie non restassero Solo Parole…
Da Parte mia è tutto. Alla Prossima da SonoSoloParole.
Come è potuto succedere? È forse una delle domande che ci poniamo quando pensiamo all’orrore che l’essere umano civilizzato ha compiuto 80 anni fa… Loro, la gente di quel tempo, come hanno potuto non vedere? … Ripenso alle parole che ho sentito ieri in TV da Antonio Scurati, grande scrittore: “… loro, loro, loro… ci riferiamo sempre ad altri, a loro che hanno permesso tutto questo… ma forse ci stiamo dimenticando che dovremmo usare il pronome noi… “
Nonostante tutto molti non hanno imparato nulla a partire da quei ebrei massacrati ora sono loro a massacrare, per cosa una striscia di terra, inutile l’uomo non impara dai propri errori, soli pochi e troppo pochi vedono oltre, la vita è sacra che sia di un animale o di un uomo, la storia dovrebbe insegnare e invece no.
Non limitiamoci a ricordare solo oggi.
Il Giorno della Memoria dovrebbe essere un’occasione per riflettere non solo su ciò che è accaduto in passato, ma anche su quello che accade ancora oggi. Le stesse atrocità, sotto altre forme, continuano a essere commesse, e spesso passano inosservate o, peggio, nell’indifferenza generale.
Vorrei anche mandare un messaggio a chi ha sofferto per queste ingiustizie e, oggi, usa quel dolore come scusa o giustificazione per commettere nuove crudeltà. Possibile che la storia non ci abbia insegnato nulla?
Ricordare è importante, ma non basta. Serve imparare, ogni giorno, per costruire un futuro diverso.
Ho letto tutto d’ un fiato il tuo reportage. Tramite i dettagli e le tue emozioni arriva tutto l’ orrore che hai percepito scoprendo questi luoghi.
Come può un esser umano capace di concepire tali orrori non me lo spiegherò mai. Parlo al presente perché credo che qualcuno, in fondo, abbia dimenticato. Invece è nostro dovere ricordare e tramandare. GRAZIE SonoSoloParole.
SonoSoloParole, ma le tue non sono mai “solo” parole. Ogni volta riesci a trasformarle in emozioni, immagini e riflessioni che arrivano dritte al cuore. Con il tuo racconto mi hai fatto sentire come se fossi lì con te, ad Auschwitz, a vivere ogni momento attraverso i tuoi occhi e le tue emozioni. È difficile trovare le parole giuste per commentare la bellezza e la profondità di quello che hai scritto, ma non avevo alcun dubbio che sarebbe stato qualcosa di unico e speciale.
Voglio ringraziarti non solo come membro di questa radio, ma anche come lettore e ascoltatore. Con il tuo lavoro arricchisci questa radio, rendendola ancora più bella, profonda e speciale. Le tue “solo parole” riescono a dare voce a temi importanti, che colpiscono e fanno riflettere, e per questo ti sono grato. Per me è un grande onore averti qui con noi e un piacere poter condividere con te idee, opinioni e pensieri, non solo sulla musica ma anche su temi così significativi come questo.
Grazie di cuore per quello che fai e per come riesci a farlo, con passione, delicatezza e una sensibilità unica. Sei davvero una parte preziosa di questa squadra.
Enrico
Grazie, SSP. E’ nostro dovere ricordare, tramandare la memoria di chi è passato nell’inferno ma anche combattere perché non si ripeta ancora ed ancora.
Nessuno spazio ai negazionisti e ai mistificatori.