Jason Isbell, uno dei principali nomi dell’America contemporanea, torna con il suo nuovo album da solista Foxes in the Snow uscito il 7 marzo 2025, registrato a New York, il disco cattura l’artista al culmine delle sue capacità, con una chitarra acustica e una voce intensa.
Quello di Jason Isbell è un nome noto, quello di un songwriter di grande raffinatezza, cantautore e chitarrista vincitore di ben 6 Grammi Awards, originario dell’Alabama, classe 1979, da adolescente Isbell segue la scena musicale locale, a 22 anni si unisce ai Drive-By Truckers, con i quali suona per sei anni; in seguito, nel 2009, fonda i 400 Unit, prendendo il nome da un reparto psichiatrico dell’ospedale dell’Alabama, con cui incide diversi album portando avanti parallelamente la propria attività da solista.
Il suo quarto full length “Southeastern” è un’autentica rivelazione agli Americana Music Awards del 2014, tanto che Jason conquista i titoli di miglior artista, miglior album e migliore canzone, “Cover Me Up” dell’anno, ricevendo anche gli apprezzamenti di Bruce Springsteen e John Prine; il full length successivo, “Something More Than Free”, ottiene a sua volta numerosi riconoscimenti. Ora a distanza di 11 anni da questo pluripremiato lavoro e a due dall’ultimo LP registrato con i 400 Unit, “Weathervanes”, anch’esso insignito di 2 Grammy, l’artista ora ha realizzato un disco interamente acustico, “Foxes in the Snow”.
Foxes in the Snow è composto da 11 brani chitarra e voce in cui Isbell racconta, con la solita indolenza di chi ha vissuto più esperienze di quante possa realmente narrare, storie che hanno a che fare con la solitudine, “Ride To Robert’s”, l’accettazione della perdita e del dolore, “Bury Me” ma anche parentesi di rinnovata speranza, “Good while It Lasted” e di celebrazione sincera delle connessioni umane che riescono a tenerci ancorati al presente.
Lo fa nel modo più naturale e credibile possibile, Isbell sceglie di accompagnarsi solo con la sua fida chitarra acustica, una Martin 0-17 del 1940, a cui affida il compito di disegnare emotività che spaziano dall’ombroso al gioioso, spremute in quel mix di country e folk al solito declinati in una chiave personale ed autentica.
Registrato a New York City in soli 5 giorni presso i famosi Electric Lady Studios nell’ottobre del 2024, Foxes in the Snow rappresenta per l’artista originario di Green Hill (Alabama), già vincitore di ben 6 Grammy Award di cui tre per il Best Americana Album (2016, 2018, 2024), l’ennesimo buon capitolo di una carriera vissuta ripercorrendo sentieri vergati da artisti del calibro di Bob Dylan, Lucinda Williams e Townes Van Zandt.
“Bury Me”, la prima traccia dell’album, si apre con l’acuta voce a cappella di Isbell che conduce a un ritmo western galoppante che viaggia lungo una storia sull’essere prigioniero della fama e prigioniero della strada. La canzone è anche una meditazione sulla natura dell’anima umana e sui suoi sforzi per liberarsi sempre dai confini delle sbarre che usiamo per rinchiuderla. In essa sono presenti cenni all’alcolismo, “and there were bars…”, ma è come se l’io lirico volesse congedarsi da tutto ciò che ha generato dolore a sé e agli altri e chiudere i conti con il proprio passato.
Una resa dei conti simile con la mortalità si trova in “Crimson and Clay”, con Isbell che cerca conforto nel suo stato natale, l’Alabama, “Immagino che la città non mi abbia ucciso dopo tutto- La cosa che mi ha quasi portato fuori- Era solitudine e alcol”, “Potresti spogliarmi di tutto ciò che possiedo- Lasciami solo con i ricordi della mia casa in Alabama”, dopo un quarto di secolo di viaggi per il mondo pieni di pericoli.

L’alcol fa diverse apparizioni in Foxes in the Snow, Isbell parla liberamente e regolarmente del suo continuo recupero, ma i riferimenti all’alcol, sia prima che dopo la sobrietà, sono più diffusi qui che nella maggior parte del suo lavoro, indicando che queste canzoni coprono un’ampia fascia della sua vita, e potrebbe essere proprio ora che ha trovato il momento giusto per registrarle e pubblicarle.
Un’atmosfera ariosa e solare pervade “Ride to Robert’s”, dedicata ad una figura femminile rassicurante e caratterizzata da particolare virtuosismo, introduce e scorre sotto il brillante e vivace country folk, un’ode al Robert’s Western World di Nashville e alla sua presenza come palcoscenico per artisti sconosciuti.
“Good While It Lasted” vede Isbell affrontare l’amore da adulto funzionale per la prima volta,” L’ultima volta che l’ho provato da sobrio, avevo 17 anni”.
Note a cascata cadono come pioggia all’inizio di “Eileen”, una canzone teneramente resa di perdita e amore, e forse di rimpianto, è anche una canzone che è un tributo alle devastazioni dell’amore, anche vissuto nella speranza che duri, è intrisa di malinconia e rimpianto.
“Don’t Be Tough” è un invito alla tenerezza e a schiudersi all’amore, una sorta di manuale di “istruzioni per la vita”, offre una schietta litania di lezioni di vita che Isbell trasmette a chiunque ascolti: “Non essere schifoso con il cameriere- Ha avuto una giornata più dura della tua”; “Non limitarti a pregare e ad aspettare- La vita ti ucciderà se glielo permetti”; “Non essere duro finché non sei costretto.
Il valzer cadenzato “Open and Close” danza attorno al modo in cui giochiamo con le emozioni degli altri, il ritmo alla Beatles evoca un giro sulla giostra dell’amore, Il blues ambulante della traccia del titolo mostra lo squisito fingerpicking di Isbell, e gli strati di suono che crea forniscono un letto su cui può adagiare il suo inno alla necessità di perdersi fisicamente nell’amore del proprio partner, accompagna poi considerazioni sul passare del tempo , “day after day passes by” e sulla necessità di aprirsi, ancora una volta, al sentimento.
La title track “Foxes in the Snow” è una canzone d’amore di struggente bellezza che descrive un rapporto di coppia non esente da sofferenza, in cui ciò che conta è sapersi mettere a nudo e far sì che il partner ci possa comprendere anche nelle nostre debolezze: “I love the way she sees the child inside the man”. “Wind Behind the Rain”, infine, chiude la sequenza con un messaggio di speranza e di redenzione.
I ritmi vorticosi di “True Believer” catturano sia il crollo emotivo che deriva dall’amore, sia la resilienza emotiva che tale crollo favorisce, ci arriva, abbinando la melodia più bella del disco con i suoi testi più arrabbiati -“Perché mi state esaminando come se fossi un sospettato di omicidio” , mentre Isbell affronta lo svantaggio di essere un personaggio pubblico la cui vulnerabilità emotiva è uno dei suoi tratti più rispettati, si scontra anche con un’amarezza insolita , “Tutte le tue amiche dicono che ti ho spezzato il cuore, E non mi piace” , fino a quando non ricorda la resilienza che ha dovuto sfruttare in così tante occasioni nella sua vita , “Proprio quando pensi che io sia picchiato, mi alzo ogni volta”.
In “Gravelweed” c’è la clamorosa fiducia in se stesso, nella sua crescita, nella sua sobrietà, “Ma quello non sono più io, tesoro- Non lo sono mai stato, a dire la verità”, enfatizza i cambiamenti che tutti attraversiamo, cambiamenti che, in caso di successo, potrebbero portarci a spingere le persone fuori dalle nostre vite, “Ero un’erbaccia, e avevo bisogno che tu mi allevassi- Non potevi raggiungermi una volta che mi sentivo come se fossi stato cresciuto”.
L’ultimo periodo ha visto per Jason Isbell l’alternarsi di ombre, quelle delle sue difficoltà personali, e di luci, i successi discografici ed il buon riscontro della sua performance di attore in “Killers of the Flower Moon” di Martin Scorsese accanto a Robert De Niro e Leonardo Di Caprio.
Auspichiamo, dunque, che Foxes in the Snow possa essere un’ulteriore tappa positiva del percorso artistico di un cantautore che impersona il punto d’incontro tra il songwriting della tradizione, Jason ha sempre considerato Bob Dylan un riferimento, al punto da tatuarsi sul braccio il verso di una sua canzone, ma è molto legato anche alla scena roots dell’Alabama e le nuove tendenze in atto nel panorama americano.
Ma Foxes in the Snow riguarda più la resistenza dell’amore, passato, presente e futuro, che i finali approvati dalla corte, ciò emerge con maggiore forza in “Don’t Be Tough”, uno strimpellatore ottimista che suona come la sua versione di un consiglio in stile “Outfit” a sua figlia, un elenco di consigli di vita che è meglio riassunto nella riga “Non essere duro finché non devi”, un buon consiglio per qualcuno che sta ancora crescendo, ma altrettanto appropriato per qualcuno che si ritrova a ricominciare da capo.
Foxes in the Snow è stato prodotto da Jason Isbell e Gena Johnson, progettato e mixato da Johnson e masterizzato da Pete Lyman, tutte le canzoni sono state scritte ed eseguite da Isbell.

Deve essere difficile scrivere di qualcosa di cui tutti hanno sentito parlare, su cui tutti hanno un’opinione e tutti pensano di sapere cosa è successo, mi ricorda qualcosa che ha detto Jim Rome: “Non conosciamo queste persone”, si riferiva agli atleti, ma in realtà si applica a chiunque abbia un minimo di fama, pensiamo di conoscere le loro vite, i loro segreti, ma non è così, quindi inventiamo storie e cerchiamo di sembrare esperti. Quindi, quando qualcuno come Jason Isbell si siede per scrivere e registrare le sue prime canzoni dopo il divorzio da Amanda Shires ( accanto nella foto) sta scrivendo la sua verità, ma sta anche (che lo scelga o meno) combattendo le percezioni che si sono formate nell’ultimo anno.
Ci sono 11 nuove canzoni qui, tutte quasi impeccabili, sull’amore, la solitudine, il sesso, la tenacia, la sobrietà, New York, l’Alabama, più amore, parole di saggezza, ricordi pericolosi, la misteriosa donna in “Open And Close” e gli amici grondanti di sangue dell’enigmatica ragazza dai capelli dorati nella deliziosa title-track folk americana.
C’è intimità nell’album, a volte sembra che Isbell sia seduto dall’altra parte della stanza, quando togli i pulsanti e i campanelli e riduci una canzone alla sua essenza, la tua attenzione è su questa voce e su ciò che ti sta raccontando: storie di se stesso, o di qualche altro personaggio, o entrambi, con alcuni dei migliori testi in circolazione.
Ma questo album è davvero solista: scritto, cantato ed eseguito solo da Isbell, solo voce e chitarra acustica, la sua Martin 0-17 del 1940 dall’inizio alla fine e, a quanto pare, nessuna sovraincisione.
In Foxes in the Snow Jason Isbell, questo poeta laureato del rock americano, con grazia solleva il sipario è musica roots allo stato puro: niente altro che il suono della sua voce, ricordi, melodie e chitarra e percorre due sentieri: metà straziante disco di divorzio, metà esultante cronaca di nuovi affetto e nessuno nella musica moderna cattura questa attrazione in modo così bello e agrodolce come lui.

Isbell è spesso al massimo della sua potenza quando ci sono solo la sua voce e la chitarra e probabilmente otterrà più attenzione per il semplice fatto che è la prima sua uscita da quando ha annunciato il suo divorzio l’anno scorso, non c’è dubbio che il contesto aggiunga peso extra a queste canzoni, specialmente quelle che parlano così apertamente di sconvolgimenti personali, “Good While It Lasted”, “Eileen”, ma la tesi di Foxes in the Snow si riduce davvero a questo: come andare avanti quando la vita non va come pensavi e come riconcentrarsi quando l’immagine di casa si offusca.
Isbell ha scritto due delle migliori canzoni d’amore degli ultimi decenni, “Cover Me Up” dei Southeastern e “If We Were Vampires” dei The Nashville Sound e riconosce che potrebbero essere difficili da ascoltare alla luce delle brutali canzoni di rottura che costellano Foxes in the Snow : “Mi dispiace che le canzoni d’amore oggi significhino tutte cose diverse“, canta in “Gravelweed”.
Jason Isbell si è guadagnato la reputazione di uno dei più grandi cantautori viventi d’America scrivendo storie ricche di dettagli su scismi familiari, lotte della classe operaia e identità del Sud, ma è il suo dono per le canzoni d’amore che colpiscono allo stomaco che ha cementato la sua eredità.
Non vi nascondo che pensavo che Foxes in the Snow potesse vedere Isbell tuffarsi in temi politici più o meno nello stesso modo in cui The Nashville Sound del 2017 ha fatto con tanto successo, dopotutto, quest’ultima uscita è stata un mezzo per il cantautore per esprimere lo sgomento e l’orrore che provava per lo stato della sua patria dopo la prima elezione di Trump. Con il futuro del paese che sembra sempre più catastrofico dopo il ritorno al potere di una figura che Isbell indubbiamente disprezza, ci si potrebbe aspettare che avrebbe rimesso in canzone quei sentimenti appassionati sullo stato pericoloso della nostra società, ma non è questo il caso, ho scoperto ascoltandolo che invece Foxes in the Snow parla essenzialmente di una cosa e una cosa soltanto: l’amore, i suoi inizi torridi, le emozioni che suscita e lascia dietro di sé, la straziante sensazione della sua perdita.
In definitiva, però, ciò che impedisce a questo album di raggiungere il livello dei suoi lavori migliori è la stessa cosa che lo differenzia dalla sua precedente produzione: la natura monotona della sua presentazione, Isbell dimostra ancora una volta di essere tra i migliori cantautori dell’epoca e, in quanto tale, è in grado di reggere l’album da solo, ma ci sono indubbiamente tratti in cui un suono country rock più pieno avrebbe potuto elevare ulteriormente il materiale.
Indipendentemente da ciò, questa è una bella uscita con grande profondità emotiva e il suo tono spesso ossessionato riceve un perfetto “bacio di addio” con la traccia finale, che può essere descritta solo come pura, un’ode amorevole costruita su immagini di canzoni country classiche. Ve ne consiglio l’ascolto e vi invito a conoscere questo artista.
Da Parte mia è tutto. Alla Prossima da SonoSoloParole.