Il 7 Marzo 2025 è uscito MAYHEM, che in italiano significa “caos”, il settimo album di Stefani Joanne Angelina Germanotta alias Lady Gaga, il proprio nome d’arte lo ha tratto dal brano Radio Ga Ga dei Queen.
MAYHEM, composto da 14 brani, è stato registrato agli studi Shangri-La, vicino alla sua casa di Malibu, produzione esecutiva vede le firme della stessa Gaga, ma anche di Andrew Watt e Michael Polansky, quest’ultimo è il fidanzato dell’artista vincitrice di 14 Grammy Awards con cui ha sfilato anche sul red carpet di Venezia.
“Disease”, il primo singolo tratto dal nuovo progetto, e “Abracadabra”, l’altro singolo presentato il 2 febbraio durante la serata dei Grammy e che aveva già mandato tutti i “Little Monsters” in visibilio: evoluzione 2.0 di Bad Romance, era una promessa di fedeltà a sé stessa e al tempo stesso di inesausta sperimentazione che ora Gaga ha confermato con l’uscita dell’intero lavoro.
L’album inizia con le sonorità più dark pop, rock e industrial tipiche dei primi singoli, si apre poi in una fantasmagoria funk che è nostalgica, citazionista e auto citazionista.
Considero “Disease” in una luce molto simile ad “Aura”, entrambi rappresentano perfettamente i rispettivi album, ottime canzoni di apertura. “Aura” parlava di uno “sguardo dietro le quinte” alla sua rabbia e al suo turbamento interiore di quel periodo. “Disease” è molto di più una canzone sull’impulso interiore di esibirsi e creare e sul rapporto complicato che ha con quel desiderio di fare musica e creare anche quando le fa male.
Nella tracklist sono compresi il duetto con Bruno Mars “Die with a Smile”, uscito alla fine del 2024 e arrivato alla vetta dei più ascoltati a livello globale.
“Garden of Eden” sempre riportarci indietro ai tempi primordiali di “The Fame”, “Perfect Celebrity” torna sulle tracce, soprattutto tematiche, di “Paparazzi”, qua e là troviamo gli influssi di Prince (soprattutto in Killah), Blondie, David Bowie, la Britney del 2007, ma anche reminiscenze più disparate, dai Royksopp a Gwen Stefani e chissà, forse anche un po’ di Taylor Swift, come in “How Bad Do U Want Me”.
Mi piace molto la canzone “Garden of Eden”, è molto in stile Gwen Stefani nel migliore dei modi. Voce fantastica! Mi ricorda anche l’album Blackout di Britney, ma decisamente a differenza della maggior parte della discografia di Gaga.
Direttamente da The Fame, con una produzione vicina al 2007/2008, “Garden of Eden” è una canzone smorfiosa, da dancefloor che strizza l’occhio alla Madonna di “Hard Candy” una canzone tra le più radio friendly del disco.
Non può mancare un epilogo più struggente, tutto piano, affidato a “Blade of Glass”, e Lady Gaga sembra mettersi a nudo in maniera sempre più intima e spinta, anche grazie alla simbiosi col fidanzato Michael Polansky che co-firma la maggior parte dei brani
“Perfect celebrity”, vocals rock, produzione che con chitarre elettriche, ricorda vagamente quelle di “Born This Way”. Dopo le prime tre tracce elettroniche inizia a trasmettere il senso di Mayhem, una transizione dall’industrial alle strumentali. “Caos”, nulla è coerente ma tutto sembra iniziare a prendere forma. Il testo ricalca le orme dei primi due album, la lotta con la fama, la creazione di un clone di se stessi che si interfaccia diversamente col mondo in base al contesto.
In “Vanish into you”, ciò che inizialmente sembra una ballad mid-tempo, si trasforma nel bridge pre-ritornello in una traccia funky con piano in levare e chitarre elettriche, per culminare nel ritornello tipico di una canzone d’amore americana. Testo nostalgico che ricorda un’estate adolescenziale. La quota dolce dell’album, anche se non particolarmente originale.
“Killah (ft. Gesaffeilstein)” è tra le tracce più belle di Mayhem, produzione impeccabile tra il funky di Nils Rodgers e i Chic, e l’elettronica sintetica, anche se da Gesaffeilstein ci si aspettava forse qualcosa di più tetro (ma forse è proprio questo che stupisce). Interessante l’interpretazione teatrale e l’utilizzo dei registri che ricorda quasi un ponte tra Prince e Bowie. Il risultato è allegro, giocoso, glitterato, come la stessa Gaga ha dichiarato, probabilmente il brano più sfidante del disco, difficilmente potremmo vederlo alto nelle classifiche, ma si tratta di un esercizio di stile davvero ben riuscito.
In “Zombieboy” (Gwen Stefani, is that you?) Gaga esplora le tematiche dell’emarginazione e della bellezza delle diversità, con un’interpretazione di una lei 21enne al college. Si rafforza l’immaginario electrofunk intrapreso da “Killah”, con una base super luccicante piena di arpeggi di synth 80s e assoli di chitarra elettrica. Si tratta di un omaggio al modello Rick Genest, conosciuto come Zombie Boy, il modello tatuato all body che ha collaborato con Gaga nel video di “Born This Way” e che è scomparso prematuramente qualche nel 2018
“How bad do u want me” sembra un brano proveniente da 1989 di Taylor Swift, fin troppo distante da tutto ciò che Gaga ha fatto finora, la top line non è incisiva, uno dei pochi skip dell’album.
“Shadow of a man” è il pezzone di Mayhem, bassi coinvolgenti e predominanti, ritornello catchy, testo che richiama la lotta dell’identità tra l’ombra di qualcun altro e se stessi. Possibile hit? Chissà, sicuramente nella top 3 dei brani più belli dell’album.
In “Don’t call tonight”, la melodia è palesemente ispirata ai brani dance tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta di Whitney Houston, la produzione richiama i Daft Punk, non brilla per originalità ma decisamente godibile.
I primi quattro brani dell’album, “Disease”, “Abracadabra”, “Garden of Heaven” e “Perfect Celebrity”, con cassa dritta, tastiere e synths ipertrofici, atmosfere dark e bassi pulsanti, sono un regalo per i Little Monsters che la seguono fin dagli esordi e che ormai, visti gli anni passati insieme, non sono più tanto “little”.
Le accattivanti “Vanish Into You” e “Zombieboy” mostrano tutta la fascinazione di Gaga per le sonorità rock-funk e art rock di David Bowie e Blondie, attualizzate in una chiave più contemporanea.
Tra i brani più originali dell’album spicca l’electrofunk “princiano” e obliquo di “Killah”, con il featuring di “Gesaffelstein”, che ha un furioso finale punk, mentre il pop-dance di “Lovedrug” e “How bad do you want me” è abbastanza piatto e convenzionale.
Decisamente meglio “Don’t call me tonight” e “Shadow of a man”, che, con i loro chorus coinvolgenti, con il groove delle chitarre funky alla Chic e dalle potenti linee di basso alla Daft Punk (citati nel primo brano dai cori “robotici”), hanno tutte le potenzialità per diventare singoli di successo.
La notturna e minimalista “The Beast” inaugura la parte più morbida di Mayhem, in cui, oltre alla già ben nota “Die with a smile”, spicca la notevole ballad “Blade of Grass”, ispirata al fidanzato Michael Polansky, è un brano prevalentemente piano e voce, con un grande crescendo nel bridge e nel refrain, con tanto di special tutto pathos, che piacerà molto a chi ha amato Shallow.

Lady Gaga, ha raccontato come è nata la canzone “Blade of Grass”, ossia a quando Michael Polansky le chiese come immaginava la proposta di matrimonio e dato che erano nel giardino di lei, Gaga gli rispose che bastava prendere “solo un filo d’erba e avvolgerlo attorno al suo dito”, e lui lo fece, da lì nacque “Blade of Grass”, che ricorda l’espressione del viso di Polansy .
Per me Mayehm non è un album di svolta, ma di conferma del talentoe della rilevanza di Lady Gaga nel panorama pop contemporaneo, mentre i brani più dance in stile Pokerface come “Bad Romance” sono un tributo ai fan storici, ma non hanno la freschezza e il mordente dei loro predecessori, mi sono sembrati più interessanti e a fuoco le canzoni che mescolano con naturalezza pop, funky e rock, oltre alle ballad in cui la voce di Gaga, senza i suoni sintetici e iperprodotti, è libera di dispiegare tutto il suo potenziale emotivo, mostrando una tecnica e un controllo prodigiosi.
La popstar verrà premiata il 17 marzo con l’iHeartRadio Innovator Award 2025.
Il disco è come un racconto di un ciclo di incubi, come una notte fuori, con tutti i relativi colpi di scena, in cui qualcuno ti fa un incantesimo: si parte con la malattia della prima canzone che riflette il modo con cui ci facciamo del male, sfidandoci e si conclude con la pace, la fine del caos dell’ultima, insomma è un disco che ci regala una Lady Gaga profondamente pop, ma allo stesso tempo raffinata.
Il disco, in fondo, parla di resilienza, dell’affrontare le sfide che hai davanti per arrivare dall’altra parte della notte: ci riesci se hai controllo sulla tua vita.
Questa ricerca di pace, quindi, è stata per Gaga alla base della sua ricerca artistica, una ricerca che l’ha spinta ad apprezzare nuovamente il proprio percorso nella musica. Lei stessa afferma: “amo essere Lady Gaga”.
Vedo questo album in bianco e nero, la notte che lascia spazio alla luce. Il testo di “Perfect Celebrity” sull’avere un clone sul soffitto è esattamente quello che questo album mi fa sentire: iniziamo con Gaga e mentre la “notte” continua, ci fa rilassare in un’atmosfera dance più divertente. Inizia come mi aspettavo, con quell’estetica grunge e dark, ma finisce con vibrazioni più morbide, simili all’alba.
A dire la verità sembra che tutto il percorso che l’ha portata fino a qui, compresi i suoi lavori al cinema, come attrice, sia servito per offrirci una versione tanto luminosa dell’artista.
Parliamo di Lady Gaga, una popstar che, dalla New York di Madonna, ha saputo segnare un’epoca con il suo pop distintivo, provocatorio, esagerato e massimalista, robotico e futurista.
L’attesa per il successore di Chromatica, di fatto un prequel, era iniziata già lo scorso settembre2024, quando Gaga ne aveva annunciato l’uscita durante la promozione di Joker: Folie à Deux, dove l’abbiamo vista recitare accanto a Joaquin Phoenix, mescolando pop ed elettrock e facendo da ponte tra l’estetica del film e il nuovo album, il primo singolo, “Disease”, ha segnato un ritorno ai capisaldi della sua carriera, “Born This Way” e “Artpop”. “Hai il veleno nelle vene, questa notte potrei essere il tuo antidoto”, canta nel ritornello, con un’interpretazione urlata e decisa, ma senza veri scossoni.

Più interessante “Abracadabra”, tra dark disco e un ritornello aspirato di area K-pop, dove torna la produzione di Cirkut, uno dei due produttori elettronici, l’altro è l’anima electro affine “Gesaffelstein”, che hanno affiancato Andrew Watt alla produzione.
“Disease”, “Abracadabra” e “Perfect celebrity” sono tutte molto più dark, mentre arriviamo a metà della traccia, le cose si alleggeriscono considerevolmente, sento tutte le influenze anni ’80 di BTW (By The Way) e TF in un modo nuovo e aggiornato, e sembra che abbia davvero trovato la sua nicchia e “Zombieboy” e “Killah” sono ottimi esempi di questo.
Alla fine, con “Blade of Grass”, il sole è sorto, la “notte fuori” è finita e Gaga ha lasciato spazio a Stefani, penso che l’idea di uno specchio che rappresenta la dualità di queste due personalità sia esattamente ciò di cui tratta l’album, e sono contenta della diversità delle canzoni.
Penso che la vera triade per me sia TFM-BTW-Mayhem (per quanto abbia sempre adorato ARTPOP), questo mi sembra una vera rappresentazione di Gaga come artista e come persona.
Quello che si nota immediatamente, esplorando di traccia in traccia, è che Lady Gaga sembra tornata a fare quello che le riesce meglio, il pop più puro, e a farlo riuscendo a intrattenere e a divertirsi, cosa che forse non le capitava da un po’ di tempo.
Mayhem sembra fatto apposta per essere cantato live, gli appuntamenti già in agenda sono ad Aprile al Coachella e a Maggio in una mega esibizione sulla spiaggia di Copacabana.
Con il nuovo album la popstar presenta un “caos” che alla fine trova il suo ordine: un progetto che reinterpreta 40 anni di pop, fondendo passato e futuro in una celebrazione della danza liberatoria nell’instabilità della vita
Mayhem è tutt’altro rispetto a ciò che fan e critica si aspettavano dalle premesse dei singoli pubblicati, ma è perfettamente coerente con il percorso che Lady Gaga ha costruito nei quasi 20 anni di carriera e il dark pop inizialmente atteso si maschera tra glitterate strumentali che richiamano il pop puro di Madonna, Prince, Michael Jackson, Bowie.
L’album è la sintesi di ciò che l’artista ha presentato nei suoi 6album precedenti: le topline catchy di “The Fame”, le produzioni strumentalmente complesse di “Born This Way”, la teatralità di The Fame Monster e ARTPOP, l’intimità di Joanne.
Se all’inizio “Die With A Smile” con Bruno Mars sembrava inadeguata rispetto alle sonorità del nuovo disco dopo aver ascoltato “Disease” e “Abracadabra”, una volta concluso Mayhem si percepisce come il brano sia stato pensato dall’inizio come parte del progetto. Nel “caos” dei molteplici generi discostanti che compongono l’album, tutto trova il proprio collocamento, dando una prima impressione di coesione e rendendo il progetto veramente eclettico.
Nessun brano ha senso se confrontato a un altro di Mayhem, ma messi tutti insieme narrano una storia che effettivamente centra l’obiettivo di Lady Gaga: immortalare la danza liberatoria in una vita instabile, caotica, non coerente rispetto a tutte le fasi di vissuto percorse, un concetto che forse tramite il pop puro di questo disco rispecchia esattamente il percorso di qualsiasi essere umano. Mayhem ha senso, è centrato, comunica bene argomenti leggeri, intensi, introspettivi e frivoli. Il tutto contornato da produzioni distantissime e vicinissime, che racchiudono in 53 minuti 4 decadi di musica pop, dal glitterato agglomerato di bassi e chitarre funky degli 80s, i suoni elettronici dei 90s, la plasticità dei synth dance dei 10s, fino alla contemporanea riscoperta dei 20s di tutto ciò che hanno rappresentato i decenni precedenti.
Da Parte mia è tutto.
Alla Prossima da SonoSoloParole.