Oggi voglio soffermarmi con voi sul significato del verbo “ascoltare”
L’origine della parola è latina: “auscultare”, e subito la mente la associa ad un medico con lo stetoscopio mentre esamina il paziente. Farlo richiede attenzione, tempo, esperienza ed interesse.
L’ascolto non e’ un fatto passivo, anzi è quanto di più attivo si possa immaginare.
Per aiutarmi a definire meglio il concetto, mi avvalgo dell’ideogramma cinese “Ting” che lo esprime in modo puntuale ed approfondito.
La parola è complessa, contiene in se’ diversi “strumenti” di base e ci invita ad ascoltare ovviamente con le orecchie, ma anche con gli occhi, con la mente e con il cuore.
L’udito, oltre a portare fisicamente i suoni verso il cervello per essere decodificati, ci aiuta a cogliere un’intonazione che può far trapelare ironia, ansia, collera, impazienza e molto altro.
Se nell’atto di ascoltare includiamo gli occhi, saremo in grado di comprendere ancora meglio il messaggio in base a come il nostro interlocutore si muove, ci guarda, alla sua gestualità, a come si pone nello spazio rispetto a noi.
Tutti conosciamo l’importanza del linguaggio del corpo nella comunicazione non verbale e le diamo la giusta importanza per istinto, senza quasi accorgercene. Essa costituisce infatti l’intero processo comunicativo per una percentuale che varia (udite, udite!) tra il 70 e il 90% del totale.
E il cuore? Quanti di noi lo coinvolgono nell’ascolto? Coloro che lo fanno possiedono una qualità che solo recentemente è stata riconosciuta come tale. Si chiama intelligenza emotiva (Goleman, 1995), va oltre il significato letterale e, se sappiamo esercitarla, non solo facilita la comunicazione e abbatte le barriere, ma ci arricchisce enormemente.
Saper ascoltare, diceva Leonardo da Vinci, significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri. E per far questo, la cultura conta poco; si può essere plurilaureati senza avere questa facoltà, che spesso è innata, ma che si può anche acquisire con l’allenamento.
L’ascolto attento, insomma, ci migliora aiutandoci a vedere le cose anche dal punto di vista dell’altro.
Non sempre ascoltare obbliga a replicare: spesso la migliore risposta è un profondo silenzio ricco di empatia e comprensione (o di sdegno e di rimprovero).
Detto ciò, ho spesso l’impressione che nell’era digitale non sappiamo più ascoltare con gli strumenti a disposizione, siamo completamente assorti nel nostro piccolo mondo di certezze, nella compulsiva affermazione dell’io, facciamo più cose contemporaneamente (nell’ ideogramma compare anche il concetto di “undivided attention”, attenzione esclusiva) e siamo poco attenti ai messaggi che ci vengono trasmessi dagli altri. Abbiamo moltiplicato le occasioni per comunicare, ma lo facciamo a livello più superficiale.
Purtroppo in questo modo diventiamo sempre più poveri intellettualmente ed emotivamente, perché possediamo solo il nostro cervello, solo il nostro punto di vista. Una sola stella nel panorama del firmamento.
In “Ting” è presente anche il simbolo della mente, che deve riconoscere, filtrare, decidere. E soprattutto stabilire quando il ragionamento è davvero cruciale. Per reagire adeguatamente in molti casi si deve attivare la testa, non il cuore, distinguere le supposizioni dalle certezze, le opinioni dai fatti, esercitare per quanto possibile l’obiettivita’. Non e’ affatto facile in tempo reale e infatti ci fraintendiamo molto spesso, forse più di quanto ci capiamo.
Riguardo la comunicazione in chat, sui social network e in generale sui canali in cui essa avviene esclusivamente per iscritto, vale la pena di ricordare che l’ autentica comunicazione, che come abbiamo visto è soprattutto non verbale, in quei contesti non è quasi mai veramente possibile, quindi lasciamo sempre a chi scrive il beneficio del dubbio….
E voi, quando ascoltate, lo fate per comprendere (prendere con voi qualcosa dell’altro) o per replicare?
Selene
Bellissimo intervento Selene e per questo ti ringrazio. Non conoscevo tutte le sfumature del concetto di ascoltare e del sapere ascoltare. E’ un’arte delicata e complessa al tempo stesso. Mi piace l’ideogramma.
Saper ascoltare implica essere riflessivi, e spesso in questo mondo così compulsivo ci scordiamo di esserlo. …e per rispondere alla tua domanda io spesso ascolto per carpire nuove sfumature dell’essere e dell’avere del mondo e di noi stessi
Grazie Isa per il tuo commento. Hai colto perfettamente il senso dell’articolo e sono sicura che sai ascoltare per com-prendere gli altri e di riflesso te stessa.
Grazie Selene.
È sempre bello leggere “ascoltandoti”.
Dana
Grazie a te carissima Dana, per aver letto e commentato.
Molto brava Selene.
Riesci ad essere estremamente chiara ed a mettere sul piatto questioni importanti.
Il tema “dell’ascolto”rischiava di essere banale o già sentito invece hai portato con i tuoi parallelismi e le tue riflessioni qualcosa di nuovo,fresco e i interessante.
Hai la capacità di rendere migliore quello che leggi o scrivi a volte.
Simone76
Grazie Simone. Il tuo parere per me è importante perché so che è franco e onesto. Vieni a trovarci qualche volta, è sempre un piacere leggerti.
Hai posto un quesito estremamente interessante, ma al tempo stesso hai fatto una riflessione su ciò che inficia esprimersi nel mondo virtuale. Io ho notato che in certi contesti interessa poco ascoltare, ma si tende ad affermare se stessi ad ogni costo. Comunque sua, è una cosa lecita che dovrebbe essere saputa usare a seconda dei contesti. Purtroppo a volte anche chi ha l’intelligenza di capirlo, è spesso sopraffatto e risucchiato da un sistema che più che il confronto, determina chi cin le parole sappia imporsi sull’altro. Come sempre, oltre alle interessanti “lezioni”, vi dai sempre spunti di riflessione su cui riflettere, soprattutto su noi stessi.
Ciao Pam. Credo che sia necessario essere consapevoli di questi meccanismi anche quando si comunica virtualmente. È oggettivo che quel contesto non favorisce la comunicazione autentica, si può interagire solo parzialmente. Quindi ci vuole più cautela e più tolleranza di quanta ne mettiamo comunicando vis-a -vis.