Da un paio di settimane si sente parlare del movimento dei trattori, forse evoluzione naturale di quello antecedente, i “forconi” che con il cambio di decennio ha semplicemente cambiato il proprio simbolo rappresentativo. L’idea del forcone porta con se’ sicuramente un’immagine più ecologica, legata ad un lavoro che si alimenta solo di sudore e forza delle braccia, producendo emissioni praticamente nulle. I trattori invece vanno a gasolio, il vade retro di ogni ecologista che si rispetti e che abbia a cuore le sorti del nostro sfruttato e maltrattato pianeta.
Ma la questione non si ferma certo ai simboli ed e’ più complessa di quanto sembra.
La UE, ci fanno credere, chiede ad allevatori e coltivatori di dismettere le loro filiere intensive e di tornare a forme di coltivazioni che chiamano sostenibili e che in teoria riprendono la filosofia del forcone: meno emissioni, riduzione dei pesticidi, riposo dei campi. Agricoltura come si faceva una volta, insomma, quando le mele non erano prodotte in serie e si mangiavano anche quelle cresciute un po’ male
A loro volta i coltivatori ribattono che non possono fare tutto ciò da un giorno all’altro senza alterare i delicati equilibri che li tengono in piedi. La rivoluzione ecologica è onerosa e non basta un cambio di passo senza un adeguato sostegno economico.
Vale la pena di ricordare che i mercati sono assolutamente liberi e sugli scaffali dei nostri supermercati arrivano anche prodotti non-UE, non soggetti a regole altrettanto stringenti. Le mele d’oltreoceano sono belle, lucide, tutte uguali e costano meno, perché come abbiamo imparato a nostre spese il biologico costa.
Il consumatore cosa fa? Compra biologico, mangia meno e spende di più o si riempie il carrello di prodotti meno controllati e campa comunque?
E soprattutto, le cose stanno davvero come ce le raccontano?
L’argomento è interessante e approfondendo ulteriormente, mi sono resa conto che non tutti i produttori sono uguali e con gli stessi diritti.
A capire meglio tutta la questione da un punto di vista da “insider” mi ha aiutato un articolo su Huffpost del 7 febbraio scorso scritto da
Monica Frassoni, ex eurodeputata da sempre impegnata in Europa sul fronte dell’ecologia. Vi copio un passaggio chiave:
“La Politica Agricola Comune (PAC) assorbe il 30% del bilancio della UE; è bene sottolineare che chi decide sui prezzi agricoli, sui prelievi, sugli aiuti e sui limiti quantitativi è il Consiglio (secondo l’art. 43 del Trattato sul funzionamento dell’Unione) e quindi dei ministri dell’Agricoltura, che agiscono da tempo in strettissima collaborazione con le potenti lobby agricole, in particolare Copa-Cogeca, dominate dall’agroindustria e dai grandi produttori e che hanno un’influenza enorme sulla Commissione e sul parlamento. In altre parole, quando si dice che a Bruxelles non si ascoltano gli operatori si dice una totale falsità. Il problema è che se ne ascoltano solo alcuni.”
E aggiunge : “il fatto che l’80% dei sussidi vada al 20% dei produttori crea degli squilibri non più sostenibili, in particolare in tempi di costi crescenti per il produttore. Da sempre il criterio per ottenere sussidi della PAC non è stata quella della qualità, ma la quantità, con l’indispensabile aiuto di pesticidi e fertilizzanti, spesso derivati dal petrolio, cosa che rende ancora oggi il settore fortemente dipendente dai combustibili fossili e dai sussidi che sono oggi sempre più un controsenso. È questo il sistema che schiaccia sempre di più i piccoli produttori e che non premia per nulla chi vorrebbe fare una scelta di sostenibilità; è questo il sistema che sta arrivando ad esaurimento e resiste furiosamente al cambiamento invece che pretendere di essere aiutato a realizzarlo.”
Quindi, a quanto pare, ci sono coltivatori di serie A e di serie B e i fondi dell’Unione vanno in una sola direzione.
A mangiare meglio credo che ci tengano tutti, ovunque. Ma davvero le filiere che controllano i prodotti collocati nei punti vendita vengono incoraggiate dalle nuove norme europee a perseguire questo scopo?
Se davvero tutto aumenta e gli agricoltori lamentano di guadagnare sempre meno, dove vanno i profitti?
Io credo sia importante partire da questa protesta per informarci meglio come consumatori, nel nostro interesse.
Quando compriamo, è come se esprimessimo un voto.
Oggi la comunicazione e’ globale, e ci consente teoricamente di mettere su un piccolo sistema parallelo, che tagli fuori la grande distribuzione per quanto possibile: i costi lievitano a causa degli intermediari e della nostra brama di trovare sempre tutto in ogni stagione, piccola forma di onnipotenza dell’uomo occidentale che domina sulle leggi del mondo.
E per soddisfare meglio queste richieste le leggi di mercato impongono la concorrenza, ma la concorrenza, lo sappiamo, é per definizione spietata e i prodotti appetibili non sono necessariamente i migliori in termine di qualità (nutrizionale ed ambientale).
Chissà se sarà possibile fondare una nuova economia, basata non più sulla concorrenza ma sulla solidarietà, che finirà per convenire a tutti?
Conclude Monica Frassoni nel gia’ citato articolo che purtroppo, le concessioni che gli agricoltori hanno ottenuto in questi giorni sono in linea con gli interessi dell’agroindustria. Con un sistema che ha guadagnato miliardi su un modello produttivista, basato su allevamenti e coltivazioni intensivi e fossili che non è più sostenibile.
Quando appoggiamo la causa dei trattori, stiamo attenti a scegliere quindi quelli “giusti”, che davvero ci rappresentano. A non difendere , nelle parole di Frassoni “la propaganda di chi pensa che ci possa essere un’agricoltura fiorente in un ambiente distrutto e che l’agricoltura possa continuare a considerare animali e piante come ingranaggi in una fabbrica.”
Mi piacerebbe leggere le vostre riflessioni in merito e ribadisco la mia: valorizziamo il più possibile gli agricoltori del territorio intanto che possiamo, perché estinti loro avremo davvero solo i forconi, le zappe, i rastrelli. I più fortunati avranno un pezzo di terra da coltivare, quella che si salverà da alluvioni e disastri ambientali. L’alternativa? Farina di grilli e cibi geneticamente modificati. Forse.
Selene
Beh, io non so cosa è giusto o non è giusto. So che più le industrie sono grandi, più ci sono interessi da tutte le parti. Più c’è la smania di diventare grandi, più si va a discapito di qualità e salute; d’altra parte, credo dovessero mettere limiti legali ben prima, ora è ovvio che gli agricoltori di punto in bianco non posso ripartire da 0. Personalmente compro molto raramente frutta e verdura nei supermercati, uno perché, ahimè, non ne facciamo un grande consumo. Due perché preferisco andare nel piccolo negozio di ortofrutta, il cui proprietario alle 4 di notte va al mercato e per tenere su il negozietto prende roba di qualità, e non spara prezzi assurdi, oppure compra direttamente dai piccoli coltivatori locali, che ovviamente si avvalgono di piccole serre e sicuramente prodotti chimici, ma certamente non quanto le grandi industrie agricole. Ho un coltivatore col suo bel pezzo di terra proprio davanti casa mia, e non l’ho mai visto raccogliere melanzane e pomodori a dicembre, o friarielli a luglio. È anziano e lui stesso si smazza con la schiena china nei piccoli campi. Credo che tutti noi non dovremmo aspettare ľ UE per dire no. E credo che comunque un freno a chi ci fa mangiare veleni, in qualche modo vada dato, magari in maniera graduale.
Ciao Pam,
Commento la tua risposta con molto ritardo, ma credo che tu abbia centrato il punto: se c’è una via d’uscita da questa situazione credo stia proprio nel comprare dai piccoli produttori, soprattutto se si ha la fortuna di conoscerli personalmente. La grande distribuzione crea posti di lavoro, dicono, ma di fatto sta automatizzando il più possibile e non ci garantisce sempre cibo sano e fresco. Per chi sta in città e’ più difficile evitare di comprare nei supermercati ma non impossibile. Tu continua così!