Nick Cave & The Bad Seeds Formatasi nel 1982 dopo la separazione dei The Birthday Party, la band conta a oggi 18 album. Tra i più acclamati artisti in circolazione dalla critica, Nick Cave & The Bad Seeds hanno venduto più di 5 milioni di album in tutto il mondo. La loro influenza è stata profonda per moltissimi artisti che hanno spesso fatto cover del loro lavoro e hanno citato la loro influenza.
Arrivato al cinema solo il 2, 3 e 4 dicembre 2024 “Mutiny In Heaven | The Birthday Party. Nick Cave – La prima fila non è per i fragili”, il documentario che porta per la prima volta sullo schermo il racconto dell’ascesa e dell’implosione dei The Birthday Party, la band guidata da Nick Cave nata nel 1977 a Melbourne, dalle cui ceneri sarebbero poi sorti i Bad Seeds.
Diretto da Ian White e prodotto da Wim Wenders, il film è stato presentato in anteprima al Seeyousound International Music Film Festival di Torino, è distribuito da Nexo Studios.
Il racconto della storia di uno dei gruppi post-punk più selvaggi di sempre, risucchiato nel caos vorticoso dei locali fumosi di Londra e Berlino. La determinazione e la volontà di non cedere mai a compromessi sono la partenza per affrontare con uno sguardo crudo l’intreccio tra ispirazione artistica e dipendenze, tra fama e conflitti interpersonali, il tutto sostenuto dall’umorismo cupo e ironico dei singoli membri della band. Utilizzando interviste esclusive e incredibilmente schiette a Nick Cave e compagni, un ricco repertorio di immagini d’archivio rare e inedite, opere d’arte, brani musicali, filmati in studio, animazioni e contenuti multimediali, Ian White realizza un film visivamente ricco e narrativamente avvincente, attingendo anche a un’enorme collezione di oltre 1.000 pezzi d’archivio recentemente ritrovati, tra lettere, diari, cartoline, fotografie, ritagli di giornale, manifesti, volantini, corrispondenza personale e scalette, che offrono al pubblico uno sguardo inedito sulla band, sulle sue incredibili performance e sulla sua spettacolare e caotica carriera.
A cavallo tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80, una band australiana tra le più folli di sempre ha sconvolto il panorama musicale di tre continenti con concerti totalmente autodistruttivi. Il virus del punk si stava per esaurire e il mondo non sembrava più propenso ad accettare la loro immagine di sbandati fuori controllo, ma la storia dei The Birthday Party, Nick Cave, Mick Harvey, Tracey Pew, Phill Calvert e Rowland S. Howard, dimostra che deve esserci sempre spazio per chi vuole sovvertire le regole.
Quella dei The Birthday Party è la storia di un gruppo che si forma a Melbourne e diventa rapidamente una delle band post-punk più apprezzate del Paese. Motivati, ambiziosi e forti del loro successo, decidono di trasferirsi a Londra, dove li attende una realtà totalmente diversa. Non apprezzati dalla stampa musicale britannica e senza riuscire a ottenere più di una manciata di concerti, i componenti della band arrancano e faticano. Incanalano così il loro odio verso Londra in un nuovo lavoro che demolisce tutto ciò che li aveva preceduti. I loro spettacoli sul palco diventano più simili a performance artistiche autodistruttive che a concerti.
Durante questi show, la band provoca deliberatamente il pubblico, assalendolo con un vortice sonoro apocalittico. Fuori dal palco le loro vite sono poco diverse. Un romanzo demenziale e assurdo, un racconto assolutamente avvincente e spesso esilarante che abbraccia tre continenti e cinque anni di carriera musicale.
“La prima fila non è per i fragili” avvisa al microfono un giovanissimo Nick Cave, prima del folle concerto dei Birthday Party.
Non è per i fragili nemmeno Mutiny in heaven, il primo documentario dedicato alla band australiana, diretto da Ian White, prodotto da Wim Wenders e in anteprima italiana il 3 marzo al Festival Seeyousound di Torino in 90 minuti di delirio sonico e performativo che rende innocui i Sex Pistols, al confronto un gruppo di chierichetti un po’ rumorosi. Sul finire degli anni Settanta, proprio dal punk muovono Nick Cave (prima folgorato da Johnny Cash), Mick Harvey, Phill Calvert, Tracy Pew e Rowland S Howard, ma poi lo superano, lo mischiano al blues, ai rumori, al free jazz, allo zolfo.
Si incontrano a scuola, quando Cave indossa ancora gilet a pois e papillon ma è già magnetico. Fanno concerti nei locali alternativi del quartiere St Kilda, e tutto ciò che può renderli sgradevoli.
Provocano, inducono reazioni scatenate, sono pericolosi, il pubblico arriva, e arriva pure il contratto e un trasloco a Londra. Partono da Melbourne che ancora si chiamano Boys Next Door, non proprio i ragazzi della porta accanto, semmai quelli che ogni genitore vorrebbe tenere lontano dai figli, e atterrano su suolo inglese come Birthday Party. Il cambio di nome avviene in aereo, dopo una rissa ubriaca con il pilota e il personale di bordo. Londra la trovano deludente, noiosa, il punk lì è già svanito, il synthpop li disgusta, è commerciale.
Per un anno vivono in nove (con le fidanzate) in due stanze, con seri problemi di malnutrizione, se prima la droga era una forma di esplorazione, adesso diventa disperazione e conquistano la reputazione di tossici dai quali stare alla larga ma la Bbc di John Peel li trasmette, al ritorno in Australia vengono acclamati, e diventano ancora più brutali. Brutali e letterari, Pew, il cowboy urbano, tira linee di basso apocalittiche e tiene Platone nella tasca dei jeans; Cave, con un padre insegnante di letteratura che lo ha cresciuto a pane, Shakespeare e Dostoevskij, è ossessionato dalla prosa misteriosa della Bibbia, dai temi di moralità e peccato.
I loro live sono riproduzioni terrestri dell’inferno, più che altra musica, sono i libri, la pittura gotica, i fumetti, il teatro di Artaud, a ispirarli. Di sicuro portano all’estremo l’unzione psichica dei Doors: “Proponevamo un’altra dimensione, un altro modo di percepire il mondo, era espressione incosciente delle cose, un viaggio dentro” spiegava la band. Questa sregolatezza, la tragedia sempre dietro l’angolo, li porta all’auto sabotaggio.
A New York i concerti vengono interrotti dopo tre brani, e gli aneddoti abbondano, dai pantaloni aderenti di Cave che si spaccano a metà, lasciandolo nudo sul palco (Jim Morrison finì a processo per molto meno) a quando, impasticcato, si addormenta sul banco dell’ispezione, davanti ai doganieri e non è neppure il fattaccio peggiore.
Nel 1982 è a Berlino che The Birthday Party trovano casa, lì gira energia violenta, c’è il pubblico arrabbiato perfetto, colleghi stimolanti come Einstürzende Neubauten, con le loro dissonanze industriali, ma è sempre a Berlino che le strade si dividono. Un ultimo disco, Junkyard, e tour di addio. Perché? Le tensioni interne, forse l’adulazione che ormai rende inutile il pandemonio, Cave e Mick Harvey fondano i Bad Seeds e Wim Wenders non potrà fare a meno di inserirli nel film “Il cielo sopra Berlino” perché, dice:” Sono il sinonimo della città”.
Il documentario alterna rari filmati d’archivio, animazioni dell’illustratore Rheinhard Kleist, interviste (anche non recenti, ai membri deceduti), e dà un’immagine di Nick Cave molto lontana da quella attuale che, dopo prove durissime, dalla morte dei figli alla riabilitazione, è artisticamente in stato di grazia, ecumenico nei rapporti, lucido dispensatore di conforto sulla sua pagina Red hand files. Eppure, i due sono indistricabili, lì un ragazzino che provava a maneggiare i tormenti, qui un uomo che ci riesce. Si limita a un “Finisce, vai avanti a fare altro” in un intervista Cave.
Un esperienza unica tra il 1978 e il 1983, hanno influenzato Sonic Youth, My Bloody Valentine, Alex Turner, LCD Soundsystem, Yeah Yeah Yeahs, e soprattutto qui testimoniano, una stagione musicale in cui tutto era possibile, altro tempo, altro rock.
È il chitarrista Rowland S. Howard a darne una delle più viscerali definizioni: “Il rock è quella musica talmente spaventosa da richiedere una fila di poliziotti fra la band e il pubblico”.
Il Film esplora il conflitto tra ispirazione artistica e autodistruzione, fame di successo e dipendenze, senza tralasciare l’umorismo oscuro che ha sempre caratterizzato Nick Cave e i suoi compagni.
Il 7 novembre del 1986, neanche trentenne, il bassista Tracy Pew moriva per un’emorragia cerebrale provocata da una rovinosa caduta a terra a seguito di un attacco epilettico; il 30 dicembre del 2009 un cancro si portava via il cinquantenne Rowland S. Howard, chitarrista, sono gli unici due membri dei Birthday Party che nel documentario di Ian White, Mutiny in Heaven: The Birthday Party , non possono intervenire al giorno d’oggi per ricordare il tempo che fu, la scintilla di un’apocalisse musicale che partì dalla Caulfield Grammar School di Melbourne per incendiare il vecchio mondo, da Londra ancora frastornata dopo la sbornia punk alla Berlino che ancora era divisa a metà dal muro.
Se di Howard persiste nel montaggio qualche dichiarazione d’epoca, in stralci di interviste video, Pew è una presenza muta e selvaggia, che in una certa qual misura contiene in sé la quintessenza di una band dalla violenza primigenia, quasi ancestrale, angoscioso gorgoglio post-punk che attraversò per un pugno di anni l’Europa e l’Australia, dove i cinque membri si rifugiarono sempre, magari dopo una fuga dalla Londra imbruttita e già in piena era Thatcher.
Se in pochi, eccezion fatta per i cultori della materia, hanno probabilmente memoria di Pew e Howard, il discorso cambia quando si sposta lo sguardo sugli altri componenti dei The Birthday Party, che furono poi i fondatori fin dai tempi del liceo, non tanto il “povero” Phil Calvert, batterista che venne estromesso nel 1982, un anno prima dello scioglimento definitivo, ma senza dubbio Mick Harvey e ancor più Nick Cave, tuttora impegnati insieme con i Bad Seeds, ecco dunque spiegato il lunghissimo sottotitolo scelto per l’uscita italiana del documentario, vale a dire Nick Cave – La prima fila non è per i fragili.
Ed è sempre il carismatico Nick Cave leader, frontman tra i più magnetici del rock dell’ultimo cinquantennio, a pronunciare all’inizio del film, dal palco, la fatidica frase “la prima fila non è per i fragili”. Come potrebbe non essere così, d’altronde, con gli spettacoli dei The Birthday Party che già all’epoca dei Boys Next Door, questo il primo nome del gruppo, fungevano da sfogatoio barbarico di ogni pulsione, di ogni repressione?
Mutiny in Heaven si articola attraverso una struttura di prammatica, abbastanza convenzionale, interviste a fungere da trait d’union per un viaggio temporale che segue una progressione cronologica e va dagli esordi a Melbourne, quando i cinque erano già dei ragazzi perduti, diciassettenni che salivano sui treni per finirsi una bottiglia di liquore, e arriva al tour finale proprio nella natia Australia.
Eppure c’è una oscurità malsana che si fa largo tra le pieghe del racconto, e che riesce a descrivere un momento irripetibile della storia della musica e della cultura, quando le generazioni più giovani si lasciarono affascinare dall’introspezione violenta, dalla rappresentazione del trauma, dalla distruzione ideale di ogni totem e di ogni tabù.
Questo è il punto di forza del lavoro, che costringe lo spettatore odierno in traiettorie che non potrà che trovare disgustose, e dunque intimamente rivoluzionarie perché in grado di frammentare le certezze dell’ovvio (in questo grazie anche alla sincerità disarmante di Cave e Harvey, che si lanciano in un’aneddotica spiazzante, assurda, che descrive una vita vissuta ben oltre i limiti del sostenibile).
Se poi si aggiunge l’inventivo montaggio lavorato da Aaron J. March, che mette insieme riprese d’archivio, inserti animati, interviste frontali e via discorrendo, ci si ritrova di fronte a un’operazione sicuramente “commerciale” (il film funge anche da lancio del nuovo tour dei Bad Seeds) ma tutt’altro che banale, che potrebbe spingere qualche spettatore a riscoprire i Birthday Party, tra le band più violente del pantheon post-punk, intimamente autodistruttive. Impresa lodevole questo film documentario.
Il principale pregio del documentario di Ian White è quello di mettere lo spettatore nella condizione di provare sensazioni contrastanti, da un lato la fascinazione per le icone punk, dall’altro l’invitabile ribrezzo per lo stile di vita raccontato negli aneddoti.
Una musica così sofferta come quella dei The Birthday Party non può che provenire da un profondo disagio, un desiderio di sovvertire le regole per trovare un proprio posto nel mondo. Le droghe, l’alcol, il degrado, l’autolesionismo, sono solo le manifestazioni esterne di una rivoluzione intima e viscerale che parte prima di tutto dall’individuo e dal rifiuto di omologarsi. Un momento storico-culturale irripetibile, controverso forse, ma capace di sprigionare una produzione artistica impressionante, che ancora oggi continua a figliare influenzando le nuove generazioni.
La scelta più azzardata è quella di raccontare le scene degli “eccessi” dietro le quinte, tra droghe, alcol, incidenti e via dicendo, servendosi di sequenze animate affidate a Stefan Wernik e Reinhard Kleist, per rappresentare in chiave fumettistica tutto ciò che chiaramente non è stato filmato.
Mutiny in Heaven si limita a raccontare il gruppo australiano per quel che era, un consesso di individui ai margini della società, squattrinati e pericolosi per se stessi e per gli altri, carichi di un’energia che, una volta limata e ricondotta a più miti consigli, genererà grandi pagine del rock e il loro leader era un personaggio destinato nei decenni a seguire a divenire un gigante indiscusso del rock, Nick Cave, ancora oggi tra uno dei cantautori più importanti del panorama internazionale.
Quel che manca a livello visivo è colmato da inserti di animazione, affidati a Stefan Wernik, che lavora su disegni di Reinhard Kleist (già autore della graphic novel “Nick Cave: Mercy On Me”), per rappresentare in chiave fumettistica i peggiori atti trasgressivi pubblici e privati compiuti dai The Birthday Party e in genere tutto ciò che, per qualche ragione, non è stato filmato, una scelta di dubbio gusto, che diviene forse inevitabile per arricchire il materiale di repertorio in un film che è sostanzialmente una raccolta di ricordi, in cui solo la componente visiva può evitare che l’attenzione dello spettatore venga sommersa da un fiume di parole.
E come canta Cave nella sua meravigliosa” Joy”, “Abbiamo provato tutti troppi dispiaceri, ora è il momento della gioia”. “Già, è proprio così” aggiungo io!
Da parte mia è tutto.
Alla Prossima da SonoSoloParole.