Oggi voglio esprimere il mio pensiero sulla mini serie che pochi giorni fa la Tv, per la precisione la rete ammiraglia Rai 1, ha mandato in onda in due puntate in cui ripercorreva il racconto di Giacomo Leopardi, per chi non ha potuto vederla può sempre rivederla dal sito di Rai Play e che a quanto pare è stata inondata di critiche sui social dai tanti “leoni da tastiera”.
Ritengo che Leopardi, inteso come complessità poetica e morale del suo essere, del suo esistere complicato, il tutto come genialità, bellezza del suo sentire, perso nel male di vivere la realtà “natura matrigna”, e ancora, come profondità di pensiero, come spiritualità, come immensa conoscenza, come illimitato bisogno d’amore sia impossibile raccontarlo in tutto, quell’insieme di variegati aspetti nella sua interezza in un film, di qualsiasi regia, voglio dire che è impossibile racchiudere una così illustre complessità di pensiero, di sentimenti, di nobiltà d’animo, in un tempo limitato a qualche ora e a rappresentazioni libere, molto soggettive, fuori tempo e con il “prepotente” obiettivo di sorprendere, di stupire, di rincorrere una originalità interpretativa.
Giacomo Leopardi va letto, è nei suoi scritti che lo si può conoscere, riconoscere, percepire nelle sue verità, nelle sue fragilità, nelle illusioni – disillusioni, nelle sue aspettative-delusioni, nei contesti abitativi vissuti, quindi rispettarlo, senza sminuirlo o limitarlo all’essenzialità di pensiero pessimistico, in alcun modo.
La sua poesia è assenza che fa presenza e il visibile prende sembianza sentimentale nell’invisibile, nell’immaginazione oltre la siepe.
I film, sempre secondo me, discutibili in un modo o nell’altro, concepiti secondo punti di vista liberi, personali, secondo critiche conosciute magari basate su criteri conoscitivi limitati, possono “Solo” attirare l’attenzione, affascinare, tanto da lievitare nelle persone il desiderio di conoscere o di approfondire l’essere Leopardi. Magari di scoprirlo in tutte le sue sfumature, in tutta la sua sofferenza-infelicità che è il determinante della bellezza di pensiero e dell’anima.
Ognuno nel chiuso delle proprie stanze di dentro, nel silenzio della propria anima che accoglie, deve incontrare il Leopardi, interpretarlo per quello che scrive poeticamente, per la sua poetica inconfondibile, per le emozioni che suscita, che sono rivelazione sino ad ergersi in pensieri verso l’Alto, sino a sublimare in sussurri, in turbamenti, in sentimenti di intensa partecipazione affettiva, così è per me.
Naturalmente per meglio “viaggiare” il Leopardi in dimensione sensibile, introspettiva, è importante la lettura di testi di autori che lo hanno studiato, che hanno fatto ricerca seria ed attenta dei fatti, degli accadimenti storici e dei contesti ambientali.
Detto questo, non mi permetto di giudicare il film di Sergio Rubini, come quello di Mario Martone, da critica, in quanto non lo sono e non desidero esserlo, i critici interpretano in relazione ad una conoscenza approfondita, ricercata, certa, quindi da rispettare, io mi limito ad esprimere il mio punto di vista basandomi sull’incanto, sulla magica, irresistibile attrazione, sulle sensazioni, sulle impressioni, intuizioni che Leopardi ha suscitato in me ogni volta che lo ho letto, con il suo pensiero filosofico sorprendente, attuale, con la sua immensa spiritualità, con la sua sofferenza, disperazione.
E in questa sublime atmosfera riesco a ri-avermi rigenerata nella mia malinconia, non più sola nella mia inquietudine, nella mia “timeline”.
Dei due film che ho citato, ho apprezzato maggiormente Il Leopardi-Il Poeta dell’Infinito di Sergio Rubini perché, a differenza del regista Mario Martone nel Il Giovane favoloso, ha “ingentilito” l’estetica, la fisicità del Leopardi coniugandola in risonanza con la sua bellezza interiore ed ha messo in risalto, non il pessimismo, ma il bisogno immenso, la ricerca d’amore e il desiderio infinito di felicità, di libertà, rimarcando gli opposti: la rigidità, la rigorosità del padre Monaldo, anche se, indirettamente, gli riconosco il merito di averlo indotto ad intraprendere quello studio “matto e disperatissimo” che ha contribuito a renderlo libero con la mente immaginale quindi a rivelare quel talento che già era in sé, per sua natura e l’austerità, la superbia, l’intransigenza della madre, direi anaffettiva, come pure i condizionamenti subiti da una mentalità familiare rispettosa della ferrea, tonante, punitiva disciplina ecclesiastica.
Inoltre, del film di Rubini ho apprezzato particolarmente la fotografia di Fabio Cianchetti, voglio dire che comunque, i film a scopo culturale con intento educativo, come quelli citati, sono sempre da vedere indipendentemente dalle critiche negative risultanti e dalle deluse aspettative per la ricostruzione storica. Ad ogni modo “fanno pensare” e questo, dal mio punto di vista, è bene, per poter rivedere o rimuovere la propria “fissità di pensiero”, in divenire cosciente e quindi per rivedersi nel proprio essere: in sé, per sé e per gli altri, in relazione all’ambiente di appartenenza.
Questo film di Rubini è liberamente ispirato alla vita di Giacomo Leopardi, il genio favoloso di Recanati seppur collocato nel contesto di avvenimenti realmente accaduti, alcuni eventi narrati sono stati rielaborati dagli autori a fini drammaturgici anche in questo film. Pertanto, al di là della verosimiglianza storica, ogni riferimento o identificazione con persone non esplicitamente individuate, cose e circostanze reali, sono puramente casuali,come spesso mettono nei titoli di coda dei film…
Cresciuto all’interno di una famiglia apatica e ligia al dovere, Leopardi non è mai davvero stato visto, non ha mai avuto davvero un’opportunità, l’opportunità di uscire di casa, ad esempio.
Tutto quel che scopre del mondo, per buona parte della sua vita, lo apprende soltanto mediante la sua finestra, otre quella vista, non c’è più niente, o almeno, questo è quel che gli hanno suggerito, ma Leopardi la vita sapeva come inventarsela, sa come vedere oltre quella vista, perché quei libri sono stati la sua libertà, la sua consacrazione nel mondo, Il volo che ha preso, prima ancora di volare davvero.
L’angoscia e l’inquietudine conosciute di Giacomo Leopardi vengono così narrati all’interno delle due puntate della serie Tv Rai, ma sempre tenendo bene aperta una porta che lo vede, finalmente, anche come la persona prima del mito.
Leopardi voleva essere anche un bambino, un ragazzo, un uomo, voleva rendere reali le infinite parole lette nel corso della sua inquieta esistenza
La serie Tv Rai uno di Rubini sviluppa questo aspetto del poeta, ricostruendo anche la sua anima ribelle, sempre pronta a spezzare in due le esigenze e le ambizioni dei suoi genitori che per lui immaginavano una vita totalmente diversa e di natura ecclesiastica, ma nella vita di Leopardi non c’era spazio per tutto questo, non c’era spazio per le regole imposte, per i desideri del prossimo.
Leopardi – Il Poeta dell’Infinito ci consegna infatti un’immagine controcorrente del poeta, un’immagine amareggiata, spesso in disaccordo con le idee e le opinioni di un’Italia in cui non si rivede.
Ognuno di questi spunti, in questa particolare analisi, riescono a render Giacomo Leopardi una figura estremamente attuale, più vicina a noi, come se fosse, oggi e per sempre, un punto d’incontro tra l’angoscia del vivere e la consapevolezza di non avere a disposizione altro che le parole, per sopravvivere.
Due puntate, ma un viaggio lungo e disincantato, due episodi cronologicamente quasi fedeli alla vita di Leopardi, ma desiderosi di dire, finalmente, quel che già tutti avevano detto, ma in modo diverso, un’operazione, questa, che non possiamo non considerare non riuscita, Leopardi – Il Poeta dell’Infinito riesce infatti nel suo obiettivo, suggellando una nuova chiave di lettura del poeta che, finalmente, viene qui descritto oltre i particolari fisici o l’inquietudine.
Giacomo Leopardi è la storia di un uomo che sente e che vede, che osserva e ascolta, che prova desideri, che desidera la carne, che pretende un posto in cui ritrovarsi.
Scrive di quel che vive, studia quel che vorrebbe conoscere, guarda un muro spoglio immaginandosi l’intera esistenza, cose che probabilmente nessuno, guardando sempre e solo da fuori la finestra per anni, riuscirebbe neanche a considerare possibili.
Con un convincente Leonardo Maltese nel ruolo del poeta, Leopardi – Il Poeta dell’Infinito è una scommessa vinta da Rubini, una biografia che esalta la tradizione unendo a essa anche l’innovazione, manifestando un messaggio importantissimo: anche la più longeva delle consapevolezze, con il tempo, può trovare una nuova chiave di lettura, come Leopardi fece ogni giorno della sua infanzia osservando il mondo dalla finestra, scrivendo tutto quel che in realtà non riusciva a vedere.
Rubini e gli autori hanno sapientemente romanzato alcuni momenti della breve vita del poeta, morto a 38 anni, ponendo i riflettori su tre personaggi: Giacomo Leopardi, l’amico Antonio Ranieri e Fanny Targioni Tozzetti. La fiction esplora i complessi rapporti personali di Leopardi, in particolare con Fanny, interpretata dalla ex Miss Italia Giusy Buscemi e Antonio, offrendo una visione più umana e affascinante del poeta.
La serie si conclude con la morte di Leopardi a Napoli ed è un toccante tributo alla sua opera e alla sua vita, malato e spesso allontanato dai circoli letterari, Leopardi si aggrappa all’amicizia “morbosa” con Antonio che è affascinato dalla mente del recanatese, una morbosità che comunque allontana qualsiasi sospetto di omosessualità che invece nel film di Martone Il giovane favoloso del 2014 viene “suggerita”.
Se nella prima puntata si mette in luce il bambino giocoso, intelligente ma già ribelle, nella seconda prende spazio il rapporto con l’amico Antonio che diventa coprotagonista e l’amore “disperato” e irraggiungibile con la bella Fanny, su tutti aleggia la figura del padre Monaldo e la madre Adelaide Antici, genitori severi che vogliono per il figlio una carriera ecclesiastica.
La fiction, inoltre, mette in luce la difficoltà da parte di Leopardi di rapportarsi con gli altri e la volontà di rifuggire dalla politica, tant’è che i rivoluzionari-liberali, che lottavano contro il regime austriaco, lo avevano preso come portabandiera per la sua poesia All’Italia, rimanendo poi delusi.
La miniserie di Sergio Rubini ci restituisce un ritratto inedito di Giacomo Leopardi, almeno dal punto di vista cinematografico e televisivo, finalmente aderente al vero e lontano dal comune stereotipo che vede Leopardi come un uomo eternamente depresso e insoddisfatto.
Per quanto possa sembrare pazzesco e persino ridicolo, la ricerca più frequente sui motori di ricerca in riferimento al poeta è se Leopardi avesse davvero o no la gobba! Bene ha fatto allora Rubini a decidere di rappresentarlo (finalmente!) senza la rinomata gibbosità sulla schiena che nulla toglie o aggiunge, come è ovvio, al suo innato e ineguagliabile talento.
In realtà più che la morfologia del corpo di Leopardi si è racconto la morfologia del suo pensiero, e di quest’ultimo quella sua perenne attenzione verso la bellezza e la vita. In realtà Leopardi è stata una figura tirata per la giacchetta da tutti: c’è chi l’ha visto come un poeta patriottico, i marxisti invece lo hanno considerato un nichilista sbagliando di grosso, Leopardi non era un “senza Dio”, ma casomai soffriva la sua assenza.
Nulla di più lontano dall’interpretazione di Elio Germano ne Il giovane favoloso che rappresentava e raccontava un poeta recanatese piagato dalla malattia fino al limite della caricatura irriverente, come pure certa critica non ha mancato di sottolineare.
Fanny viene rappresentata nel film di Rubini meno frivola di come le cronache e le testimonianze a lei coeve ce la rappresentano, mentre Cristiano Caccamo è impeccabile nel delineare Ranieri come il viveur dall’aria guascona che tutti ci figuriamo nella mente, nessun accenno alle controversie sorte intorno alla sua persona e alla vera natura del legame, ad ogni modo profondo, che instaurò con Giacomo e nella miniserie è l’amico che chiunque di noi vorrebbe, devoto e costantemente al fianco di Leopardi sino alla fine.
E’ in questo periodo che si fa strada il pessimismo negli uomini, nella natura e nella fede, la chiusura del film vede Fanny che si allontana in carrozza con il marito, dopo aver lasciato per sempre l’amante Antonio, e crede di scorgere tra la folla Giacomo, già sepolto, un momento di grande commozione che mi ha fatto ricordare il finale del film Il dottor Zivago.
Unica nota leggermente hot e fuori dagli schemi è il fugace bacio che i due si scambiano in una scena, senza tuttavia alcun seguito; un chiaro riferimento alla presunta omosessualità adombrata già dai contemporanei, ma che alla luce delle successive ricerche sembra essere stata solo una chiacchiera senza fondamento.
Unica pecca negativa è stato l’audio pessimo, che spesso non consentiva di seguire correttamente i dialoghi.
Nonostante le pesanti critiche, per me sterili da parte di leoni che sanno solo par “ruggire” i tasti delle loro tastiere, Leopardi-Il poeta dell’infinito con gli ascolti ha conquistato i telespettatori.
Ho apprezzato anche i brani musicali in sottofondo, “in primis il trio op. 100 di Schubert”.
Secondo il mio modesto parere, una miniserie del genere può giovare alla nostra epoca in cui la cultura e più che mai la poesia sembrano attitudini e manifestazioni completamente aliene da ogni immaginario.
Da Parte mia è tutto e ricordate le mie SonoSoloParole!
Alla Prossima.